Quando un film diventa tragedia


Su iniziativa del Comune di Soverato, delegato Amoruso, e in una ben riuscita manifestazione condotta da Eugenio Attanasio, il presidente della Cineteca Calabrese, si è svolta a teatro la proiezione del film di Isabel Russinova, regia di Aurelio Grimaldi, “L’ultimo re”, ispirato ai miti della distruzione di Troia come troviamo nelle tragedie di Euripide e di Seneca, e nel II libro dell’Eneide, e in molti altri testi antichi.

Il film è stato girato utilizzando i ruderi di Cirella Vecchia, sul Tirreno Cosentino, un’ambientazione di per sé affascinante; e che infonde nello spettatore il senso della fine di un mondo. La Calabria si mostra ancora una volta pronta ad accogliere esperienze cinematografiche, come provano due recenti pubblicazioni: quella di Maurizio Paparazzo, Giovanni Scarfò, Ulderico Nisticò e Daniela Rabia; e quella dello stesso Attanasio. Si potrebbe girare di tutto, in Calabria, da film storici di ogni tempo, a quelli modernissimi: basta liberarsi da certi pesanti e noiosi temi pseudomoralistici, politicamente corretti, e cinematograficamente inguardabili; e spero mi abbiate capito.

Tornando alle Troiane, il mito ha un suo aggancio nella Magna Grecia: si narra che le prigioniere, stanche di viaggiare, avrebbero bruciato le navi, costringendo i Greci a fermarsi lungo il Neto, interpretato poi, fantasiosamente, come Incendio delle navi; e fondare una città di Setaio.

La Guerra di Troia, che si vuole combattuta nel XII secolo a.C., è non solo l’inizio, ma l’archetipo della storia dell’Occidente. Dopo il conflitto, ecco i miti dei “nostoi”, i ritorni travagliati degli eroi in patria: quello vicino a noi è la fondazione di Scillezio (Area archeologica di Scolacium, Roccelletta) per mano di Menesteo, re di Atene. Un esule da Troia, Enea, è il capostipite mitico dei Romani e della dinastia dei Giuli.

Il dolore della fine di Ilio è dunque anche un travaglio di rinascita e trasformazione. Il Fato vuole che Greci e Troiani soffrano questa terribile esperienza: Achille è già morto, assai giovane; e suo figlio Pirro è rozzo e crudele; Ulisse è dolente e debole, usando l’astuzia e non la forza; Agamennone è stanco della guerra, e forse della vita; le donne troiane, vedove e soggette a violenza, sono l’immagine stessa dell’avverso destino. Il linguaggio è dei tempi eroici: pochissime parole, ognuna pregnante di contenuto e di emozioni.
Domina la figura di Andromaca, interpretata, o piuttosto con lei s’identifica la Russinova, con una recitazione intensa e partecipata, eppure contenuta e sempre dignitosa e misurata. Una vera prova d’attrice!

Il film è essenziale, e non cede mai alla tentazione dei presunti “gusti del pubblico”; il pubblico, e oggi erano quasi tutti ragazzi, è costretto ad adeguarsi al film, e non il contrario; e perciò a sentirsi parte del dramma.

Ulderico Nisticò


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