Strade che si fanno e non si fecero


viadottosant Oggi, giovedì 28 luglio 2016, si apre il viadotto S. Antonio, e uno può entrare a Gagliato (l’abbiamo aperto un mese fa) e uscire a Serra. Manca mezza strada per dirla Ionio – Tirreno, però, alleluia alleluia. Renzi ha inaugurato il viadotto Italia: e va bene. La strada cosiddetta di Germaneto consente di saltare Catanzaro Lido: è zeppa di difetti, però, alleluia. Miracolo, hanno completato quel troncone abbandonato di Roccella, che stava lì da trent’anni. Eccetera.

 Cosa voglio dire? Che se passano decenni di inerzia, e poi le cose si fanno, è segno che è tutta una questione di volontà politica. Della politica intesa come attività nobile, non come stipendi per politicanti d’accatto.

 Sta succedendo qualcosa di inavvertito ma potente: serpeggia, quasi inconsciamente, una rivoluzione nella sensibilità popolare. Fermi, non sto iniziando un pistolotto retorico, ma un ragionamento molto realistico.

 Soverato, Chiaravalle e Serra S.B. erano (ahimè, erano) tre centri produttivi ed economicamente assai vitali fino agli anni 1980; s’intende, rispetto ai tempi. Da allora degenerarono, soprattutto Soverato e Chiaravalle, in covi del peggio, la cosiddetta “società di servizi”: i commercianti, gli imprenditori, gli artigiani, i contadini divennero, a vario titolo, devoti del “posto fisso”; e abbandonarono campi e botteghe e cantieri… Infatti, avete sotto gli occhi l’abbandono.

 A collegare tre luoghi economicamente, e anche socialmente, pigri e improduttivi, non servivano strade: mezzora più, mezzora meno… tanto, per quello che si doveva fare!

 Ora che il pubblico impiego è quasi sparito, e che nemmeno emigrare sembra una prospettiva, la gente si guarda intorno per vedere se può “restare qui” proficuamente. Per restare, ha bisogno di infrastrutture, e quindi di strade e ferrovie.  O tornare al millenario trasporto per mare, ancora attivo a Soverato mezzo secolo, non mezzo millennio fa; e poi scomparso. Occorrono perciò marinai.

 C’è in ballo la risorsa turismo, finora abbandonata a se stessa. Il nostro territorio è vocato a un turismo familiare, medio; ben vengano anche le manifestazioni per giovani, però sono marginali ed estemporanee, mentre potrebbe dare lavoro per lungo periodo dell’anno il turismo di salute o della terza età o di riposo, integrato con quello religioso e culturale. Immaginiamo perciò famiglie che trovino alloggio nei borghi interni, e possano scendere al mare ma fruire della tranquillità dei paesi. Tranquillità non vuol dire noia (del resto, non è mortale noia la “passeggiata sul Lungomare”?); dunque occorrerebbero attrazioni quali teatro, cinema, s’intende di qualità. La gente vuole mangiare, e, ovviamente, non le stesse cose di supermercato che mangia a Milano; quindi occorreranno formaggi e salumi locali, quindi pecore e capre e suini e pastori e allevatori; o pesce locale, quindi pescatori.

 Come vedete, niente posti fissi, ma lavoro. Le strade portano lavoro.

 Se dunque persino lo Stato, ente così lontano dalla Calabria, si è deciso a muoversi e a finire in pochi mesi quello che restava fermo da decenni, è perché c’è, ancora inconsapevole, una spinta, una richiesta, un’esigenza sentita dalla popolazione: il lavoro. Lavoro nel senso di lavoro, quello che si suda.

 Tutto è lavoro, anche la faticaccia che stiamo durando a Davoli per lo spettacolo “Le dee stelle” del 10 agosto, o per quello di Petrizzi su Ulisse dell’11 e 12… e andando vedendo. È lavoro tutto ciò che produce un onesto reddito in cambio di qualcosa di utile. E non servono “posti”, servono strade, ferrovie e navi.

Ulderico Nisticò


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