Terza lezione: i briganti


Li chiamarono briganti

 Anche dei briganti i meridionaldomenicali non sanno niente, o se l’inventano. Non sanno che quelli del 1861 non furono affatto i primi, bensì:

– nel 1799, il cardinale Fabrizio Ruffo creò l’Armata Cristiana e Reale, o Masse di Santa Fede, che spazzò via gli occupanti francesi; nel suo esercito popolare c’erano anche briganti in senso letterale; comunque, il peggiore di loro era un sant’uomo, al confronto dei sanculotti giacobini e dei soldati napoleonici e delle loro violenze pubbliche e private, contro cui insorgerà tutta Europa: la Spagna, la Russia, la Germania…
– nel 1806, e fino almeno al 1812, la Calabria insorse contro Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Troppo lungo parlarne qui: leggete, tra l’altro, la mia Controstoria delle Calabrie.

 Quando l’esercito sardo arrivò in Abruzzo, nell’autunno del 1860, venne affrontato, come sempre in modo impacciato, da truppe borboniche; ma accanto a loro, nello scontro del Macerone, troviamo i primi “volontari”: sudditi fedeli ai Borbone, e pronti a combattere.

 Dopo la sconfitta del Volturno, il nuovo comandante borbonico, Salzano, propose di non esporre al combattimento contro i Sardi le poche truppe rimaste, e scatenare in tutto il Regno la guerriglia. Non era cosa per il mite Francesco II, il quale, dopo la sconfitta del Garigliano, si chiuse inutilmente a Gaeta, forse aspettando aiuti internazionali, che però esistevano solo nella sua immaginazione.

 Divampò intanto la guerriglia in alcune non piccole aree interne di Puglia, Basilicata, Sannio, Abruzzi. Lo Stato unitario, frettolosamente proclamato il 17 marzo 1861, si trovò di fronte a un problema inatetso e al quale non era preparato. Le truppe del Regno di Sardegna erano adeguate alla guerra contro altre forze regolari, ma non contro le bande. È ciò che avviene sempre in caso di guerriglia: quella spagnola del 1808-14 consumò le risorse di Napoleone.

 Le bande avevano dalla loro la conoscenza del territorio, generalmente impervio, e l’appoggio di una rete di sostenitori più o meno volontari. Erano mobili sia in senso topografico, sia nel senso che si formavano e si scioglievano secondo le circostanze o i casi. I briganti erano uomini – e anche donne! – pronti a morire come ad uccidere. L’esercito ormai italiano, dopo un periodo di sconcerto, fece quello che sempre si fa contro la guerriglia: isolare le bande dal territorio.

 Lasciando alle fandonie i genocidi (giuro, plurale! ahahahaah), i massacri, gli stermini e le foto a colori di una bambina morta con bottiglia di plastica del 1861, accaddero davvero molti episodi sanguinosi. Offensivo è il tentativo di far passare per “vittime” quei briganti che erano invece valorosi e feroci combattenti, e sparavano per primi. Calcolo attendibile è che l’esercito sardo, poi italiano, contò più morti nel Sud Italia che nelle tre guerre d’indipendenza 1848-9, 1859 e 1866.

 Ci fu un tentativo di Francesco II, esule a Roma, di organizzare le bande con un generale spagnolo carlista, il Borjes: senza esito.

 Ma chi erano, i briganti, sotto l’aspetto sociologico? Bisognerebbe conoscere le loro singole vite, per capire come Michelina de Cesare sia passata da contadina a capo di una banda a caduta combattendo in prima linea. O perché Carmine Crocco fu prima garibaldino, poi borbonico e brigante, poi (dopo circostanze assai dubbie) si arrese e morì in carcere nel lontanissimo 1905. Più facile leggere vicende come quella del sergente Romano, soldato regolare che continuò a combattere. È l’unico cui sia stato eretto un monumento, a Gioia del Colle dove cadde: e mi onoro di aver tenuto io l’orazione inaugurale.

 Del tutto fuori luogo e da comizietto rionale spacciare i briganti per una specie di sindacalisti che volessero un posto fisso al comune o trasformarsi da avventurosi briganti ad agricoltori ammazzati di fatica! Rozzezza psicologica, immaginare che Michelina da valorosissima analfabeta capo di una banda volesse divenire, previa scuola serale, bidella di scuola elementare: sono due tipologie antropologiche antitetiche. I briganti erano gli ultimi eroi e selvaggi di un mondo destinato a finire: come i banditi USA, i bandoleros argentini, i bgriganti di città dei romanzi francesi, inglesi e russi. Tutti verranno eliminati nella seconda metà del XIX secolo… per lasciare il posto a delinquenti in giacca e cravatta di cui leggiamo ogni giorno: ma questo è un altro discorso.

 Vero che i nostri briganti si opposero anche alla del resto recentissima borghesia degli arricchiti in età murattiana e mantenuti tali dai Borbone. Qui si apre il discorso della Guardia Nazionale, inefficiente sul piano militare (verrà sciolta nel 1870), ma capace di momenti di ferocia e perciò esposta a vendette e violenze. In mezzo, i manuntegoli, borghesi di città che, tramite i loro stazzi di montagna, rifornivano i briganti in cambio di gioielli e preziosi: donde certe improvvise ricchezze del 1861… e del 2024.

 Nulla a che vedere con le mafie, il brigantaggio. E qui ci soccorre ancora l’antropologia: un brigante dalla vita allegra e disperata è l’esatto contrario di un noioso e autocontrollato ‘ndrangatista; e tanto più non c’è nessun accostamento tra una brigantessa e una donna di mafia, potentissima sì ma condannata al silenzio per tutta la vita. Anche, soprattutto nella vita privata: non so se sono stato chiaro.

Ulderico Nisticò