La Festa di tutti i Santi, solennità anche per lo Stato, è un’opportuna occasione, oltre che per riti e preghiere, per ovviare a un problema storiografico, relativo ad alcuni Santi di cui non si conosce bene l’epoca e quant’altro, e che pure sono venerati. Auguri dunque anche a quelli che portano il nome di Santi antichissimi, e in verità lo ebbero per il nonno e la nonna: esempio, Ulderico. Io no, ma Foca e Acheropita eccetera si fanno chiamare in altro modo.
Lezioncina di agiografia. I Santi, diceva il secco e chiarissimo Catechismo di san Pio X, “sono amici di Dio”, non perché gli altri non lo siano, ma i Santi hanno un rapporto particolare, e fanno da intercessori per gli uomini, quindi sono patroni o di paesi e parrocchie, o di categorie.
In Calabria moltissimi Santi sono greci: Agazio, Anastasia, Andrea, Barbara, Caterina Martire, Cosma e Damiano, Gregorio Taumaturgo, Nicola, Pantaleone, Sergio, Sostene, Teodoro… Placate subito la magnogreciomania: se sono, come furono e sono in cielo, cristiani, ci vengono dal cristianissimo Impero Romano (Romeo) d’Oriente.
A proposito di Oriente, le Chiese ortodosse largheggiano molto nella santificazione. Esempio, il celebre Alexander Nevskij è un santo russo per aver sconfitto i Teutonici sul Lago Ciudi ghiacciato: indubbia opera patriottica e di grande valore militare, quella del principe; solo che per gli Orientali lo Stato e la Chiesa sono la stessa cosa, anzi non si dovrebbe mai dire Chiesa e Stato. Anche il famoso film di Ėjzenštejn inneggia alla Patria di Stalin, senza andare per il sottile.
La Chiesa Cattolica è sempre stata più prudente. Occorre un “processo” in quattro gradi: Venerabile, Servo di Dio, Beato, Santo; un vero processo con prove e dibattimento, e l’accusatore del candidato veniva chiamato “l’avvocato del diavolo”. Tenete a mente.
Torniamo ai Santi. Alcuni sono Patroni di particolari categorie, come san Giuseppe Lavoratore, san Tommaso d’Aquino, san Francesco di Paola… Questi, Patrono del Regno di Napoli, e un tempo veneratissimo in tutti gli Stati cattolici, è oggi Patrono della sola Calabria, e appena una volta l’anno. Nel 1816, quando la Sicilia venne forzatamente e infelicemente annessa a Napoli, Patrona venne dichiarata l’Immacolata. Abbiate… fede: ne riparleremo l’8 dicembre.
Il Paolano è Patrono della gente di mare; però, a questo proposito, molti, tra cui mio nonno materno, gli preferivano san Francesco Xavier, usando Saverio come nome proprio.
Che c’entra Soverato? La non ancora città ha molto esageratamente dedicato la sua via più lunga e popolosa a Carlo Amirante, forse nato a Santa Maria di Poliporto (dal 1881, Soverato Marina), forse nato e battezzato a Razzona di Cardinale. Perché forse? Perché si leggono due documenti che provano, si fa per dire, entrambe le cose: alla faccia dei maniaci di “la storia si fa con i documenti”. Dovunque sia nato, partì subito con la famiglia per il Napoletano, da dove proveniva; dopo aver combattuto da ufficiale a Porta Pia (anche qui: c’è chi lo vuole artigliere, chi bersagliere), si fece prete e dedicò la vita a opere di carità. Morrà… no dei Santi, e candidati, si dice che il suo die natalis è il 20 gennaio 1934.
Candidato, perché il processo giace, e lo dico alla lettera, presso l’Arcidiocesi di Napoli, che, verso gli anni 1970, gli ha riconosciuto il secondo grado… e basta. Dite voi: ma tu perché non fai qualcosa? E qui, ma solo per il momento, taccio. Per i dotti, questa si chiama preterizione, cioè quando uno scrivendo o parlando fa finta di non dire. Per ora…
L’Amirante, che io sappia, non ebbe mai alcun rapporto con Soverato; e Soverato con lui.
Francesco Marini, detto fra Zumpano, veniva da questa pretoria di Cosenza. Istituì una riforma degli Agostiniani e fondò, o ricostruì il convento che oggi è in agro di Petrizzi, dove morì. Gli dobbiamo la Pietà del Gagini (1521). Verso la metà dell’Ottocento gli Agostiniani tentarono la beatificazione; ma il vescovo di Squillace, Pasquini, rispose, con fratesca bonaria ironia, “se è santo, Dio lo sa”. Lo ricorda una disadorna viuzza, con l’indebita dicitura “beato”.
Ancora peggio è messo, in un vicolo, il personaggio ecclesiastico più importante, anzi la figura che dovrebbe essere più nota in assoluto nella storia cittadina: il cappuccino fra Giacomo da Soverato. Insegnò diritto a Roma, assurse ai massimi gradi delle autorità dei Cappuccini. Morì, tornando da Roma a Napoli, nel 1594.
Non fu mai candidato alla santità. E del resto, anche i Cappuccini, che tuttora lo ricordano, e lo stesso padre Fiore (Calabria Illustrata, mia edizione Rubbettino 1999, 2000, 2001) insistono solo sulla cultura e sull’operatività.
Per concludere ricordo a me stesso, perché a tanti non gliene importa, che la Patrona di Soverato intera, e non a quartieri, è la Madonna Addolorata, la quale è anche Patrona della parrocchia di Soverato Superiore.
Compatrono di Soverato è, meritatamente, san Giovanni Bosco. Si onora anche il beato (questa volta, davvero) don Michele Rua, fondatore dell’Istituto Salesiano.
C’erano due feste di san Rocco, ma è rimasta solo quella di Soverato Superiore. Celebriamo con devozione e piacere la Madonna a mare, che però è, canonicamente, una festa familiare. Chi vuole saperne, legga: ho pubblicato, con Fiorita, la seconda edizione della storia; ovviamente προῖκα, anzi questa volta, manco una pizza.
Auguri a tutti,
Ulderico Nisticò