Una lapide e la battaglia che non ci fu


TORNA ALLE CRONACHE LA COLONNA DI ANNIBALE. RIPUBBLICO PERCIO’ UN MIO ARTICOLO DEL 2011, IN VERO SEMPRE ATTUALE.

Un signore di passaggio nota, a metà strada tra Montepaone e Soverato, una colonna; si ferma e nota un’iscrizione in latino. Dubita, chiede a un amico, il quale, bontà sua, lo conduce da me per le dovute spiegazioni. Succede! Io tengo questa breve lezione, che qui offro ai lettori. Chi è allergico all’istruzione, mica è obbligato a leggere.

La colonna, attorno al 1940, venne eretta da Augusto De Riso, marchese di Botricello, proprietario della vecchia casa che notereste dietro (pare prima fosse la torre Finibus terrae e una grangia cistercense), e appassionato di storia locale. Ma la passione spesso conduce… Scrisse un libro su Soverato, con un’improbabile etimologia superexalto; e sostenne che la pianura di Sainaru significasse non, come è molto più ovvio, campo di saggina ma Sanguinario per una grande battaglia contro Annibale con la morte di Marco Claudio Marcello. Mi spiace contraddirlo, ma anche questa è una notizia inesatta e fantasiosa come lo sbarco di Ulisse e quello di Enea, e come che l’Ancinale è la Sagra o il Cecino, o che san Gennaro è calabrese.

Avvennero sì nel Golfo scontri tra Romani e Cartaginesi; e tre volte lo stesso Annibale passò da qui durante le operazioni attorno a Locri; secondo lo storico perduto Valerio Anziate, richiamato da Livio con molti dubbi, si sarebbe svolta “nel territorio di Crotone” una battaglia tra Servilio e Annibale con cinquemila caduti, e di esito incerto. Ma non si fa alcun cenno a una presenza di Marcello. Chi vuole saperne di più sugli ultimi atti di Annibale e su Castra Hannibalis eccetera, c’è un mio corposo saggio nei Quaderni Siberenensi magistralmente diretti da don Serafino Parisi.

Il De Riso, convinto della sua tesi, decise di onorare i Romani con un’incisione sulla colonna. Non le avevo mai prestato molta attenzione, e decido di leggerla. Causa pioggia e malo parcheggio, fotografo di corsa la trascrizione fatta apporre dalla Provincia nel 1998, la quale recita così: ROMANIS VICTIS NON DOMITIS, HANNIBAL / CARTAGINIENSIUM IMPERATOR / INVICTIS / POSTREMIS LAEVIBUSQUE PROELIIS / HIC HABITIS / BRUTTIUM RELIQUIT ITALIQUE ABIVIT.

Rientrando un attimino in servizio (ma ho smesso di essere professore, mica filologo classico), noto: Cartaginiensium invece di Carthaginiensium; e una bella confusione tra levis, e, aggettivo di seconda classe, che farebbe levibus e non laevibus, e laevus, a, um di prima classe che farebbe non laevibus ma laevis; quest’ultimo significa sinistro, e non nel senso traslato, ma solo nel senso di braccio, lato, fianco; l’altro, se la e è breve, significa leggero; se è lunga, liscio. Invictis è incongruo: si dice di una persona (generalmente significa invincibile), non certo di una battaglia. Italique in questo contesto non significa nulla.

Non è possibile che il buon De Riso abbia commesso di simili papere. Torno perciò a leggere, o piuttosto a tastare i consunti caratteri, e scopro che le papere sono della trascrizione che l’allora Provincia affidò a chissà quale latinista della domenica amico suo: complimenti al Mecenate e al Poeta! Per buon peso, una targa esplicativa retrodata la partenza di Annibale di sei anni!

Il testo genuino del De Riso, che non sarà certo un capolavoro nella lingua di Cicerone, però almeno è corretto, recita così: ROMANIS VICTIS NON DOMITIS, HANNIBAL / CARTHAGINIENSIUM IMPERATOR / INVICTUS / POSTREMIS LEVIBUSQUE PROELIIS / HIC HABITIS / BRUTTIUM RELIQUIT ITALIAQUE ABIVIT. Ragazzi, a ciascuno il suo mestiere… Però, per dire la verità, e bisogna dirla, mica è veritatismo, anche la colonna riporta un CARTAGINIENSIUM senza l’acca. Errare humanum est, signor marchese.

Ciò premesso, il senso sarebbe che Annibale, dopo aver vinto e non domato i Romani, dopo aver combattuto ultime modeste battaglie senza essere sconfitto, lasciò il Bruzio e se ne andò dall’Italia.

Torniamo a Marcello. Questi, detto La spada di Roma, era glorioso per aver sconfitto nel 222 a Clastidium i Galli uccidendo di sua mano il loro re, e ottenendo perciò, ultimo nella storia, le spoglie opime; durante la Seconda punica riconquistò Siracusa; morì nel 208 in una scaramuccia oscura, ma, come narrano Polibio e Livio, in Lucania, presso Venosa.

Circola da anni in Montepaone una leggenda metropolitana, il ritrovamento di un’anfora contenente un teschio con elmo, entrambi trapassati da freccia. Se ne vede il disegno in più pubblicazioni, ma poi si legge che l’anfora si troverebbe a Napoli: non si sa dove! Purtroppo in filologia bisogna citare le fonti. Bastò comunque per intitolare arbitrariamente una via a Marcello. Mi sta bene lo stesso: meglio a un eroe romano indebito che a dei perfettissimi sconosciuti o a dubbi politicanti come certe vie di Soverato. Le leggende sono simpatiche, e magari aiutano il turismo: basta sapere, inter nos, per dirla in latino, che non sono vere. Vi ammanisco un principio che non teme smentita: le tradizioni popolari sono quasi sempre genuine; le elucubrazioni dei dotti non lo sono quasi mai.

Devo però ricordare a me stesso che a Marcello un vago accenno si trova già in autori calabresi dell’Età Moderna, e in particolare in quel Pinnellio che, con un po’ di fortuna (ma la mia fortuna è come quella di mastro Bruno, che non posso citare per educazione), prima o poi pubblicherò. Si vede che la confusione era antica.

La battaglia di Sainaro dunque non ci fu, come quella di Soveria Mannelli, in cui Garibaldi pagò il generale borbonico Ghio, che si arrese senza combattere. Poi ci lamentiamo che il Regno sia caduto: per molto meno nel 1849 il generale piemontese Ramorimo, parente di Napoleone, venne fucilato senza un attimo di esitazione.

Per completezza, ricordiamo tuttavia avvennero dei combattimenti nella pianura di Sainaro durante il glorioso assedio di Catanzaro del 1528; e nel 1645 si temette proprio lì uno sbarco turco, che si diresse a Stalettì.

La storia locale, cari lettori, non esiste; esiste solo la storia, è, o si parla di Roma o si parla di Montepaone, le regole sono sempre le stesse, e bisogna seguirle. Lodiamo lo stesso però il De Riso, che, in tempi in cui parlare di storia calabrese suscitava ilarità, per lo meno ci ha provato.

Attenzione, non voglio fare il pedante. Il mondo è pieno di bufale, e, una più, una meno… Almeno ci servissero, che so, a fare turismo culturale: che ne so, un grande convegno su Annibale, coinvolgendo, poca roba: Roma, la Spagna, la Tunisia, Canne, il Trasimeno… qualche centinaio di congressisti; e un percorso di Annibale per le masse… lo stesso per Ulisse, s’intende. Io me la piglio con i Calabri non perché raccontano bugie, ma perché pensano che siano oro colato!

Un appello finale a chi di competenza: correggete la trascrizione della lapide, a scanso che il prossimo curioso forestiero sia un latinista e ci facciamo la solita magra figura. Il testo genuino lo trovate qui: ve lo regalo. Se ci incontriamo, mi pagherete un caffè.

Ulderico Nisticò