Villa S. Giovanni e l’Europa su due poli


 Qualcuno voleva far sposare Carlo Magno e l’imperatrice Irene, e rifare così, nel talamo, l’Impero Romano. Le nozze non avvennero, e l’Impero di Carlo rimase quello dei Franchi, esteso a Germania e Italia Settentrionale, e presto di fatto dissolto; e il Mediterraneo sarà sempre una zona periferica agli occhi dell’Europa carolingia.

 Carolingia è l’attuale Europa, con netta prevalenza francotedesca, e istituzioni a Bruxelles, a due passi dall’antica Aquisgrana. Non è solo un predominio economico, lo è, molto peggio, di mentalità. E finora i governi italiani, e l’Italia in generale, se si sono mossi, è stato per entrare tra i carolingi. Ma l’Italia è una nazione mediterranea, e ancora di più lo è il suo Meridione. Lo avevano subito intuito e capito i Normanni.

 Queste premesse, per osservare con attenzione la riunione che significativamente in Calabria, a Villa S. Giovanni, stanno tenendo, in vista delle elezioni del 2024, i conservatori. La parola non mi piace, ma non è il caso di sottilizzare. Nomina NON sunt consequentia rerum, o almeno spero che intendano conservare il meglio e non lo scarto delle nostre tradizioni europee.

 Il concetto interessante, pare di capire, è affermare un’Europa su due poli, con pari peso e dignità del Mediterraneo rispetto ai carolingi.

 Il primo dato è politico: se i conservatori vinceranno le elezioni, avranno la forza per imporre tale tesi. Lo diranno, o meno, tra pochi mesi, i numeri.

 Ma la politica non basta, senza una profonda rivoluzione culturale. I Mediterranei (Spagna, Italia, Grecia… ) recitano troppo spesso la parte dei parenti poveri; ed è ora di finirla.

 Ci sarebbe, dalla nostra parte, la storia. In tutte le scuole d’Europa, e da molti secoli, si studiano la Grecia e Roma; e la grande filologia dell’Ottocento è inglese e tedesca. Vero, ma gli stessi grecisti e latinisti e cultori di storia mediterranea del Nord, hanno e manifestano l’impressione di avere tra le mani una Grecia e un’Italia dei libri, con palese sottovalutazione di quelle attuali. Si aggiunga, e non è poco, la proclamazione di Lutero: “Loss von Rom”, l’odio verso l’Impero Romano antico (vedete certi filmacci) e verso la Chiesa di Roma. Serve dunque una decisa reazione, ed è un problema squisitamente culturale e di mentalità e d’immagine. E che la si smetta di pensare che l’Impero Romano era un caso psichiatrico, come paiono di supporre in Germania e in America, e noi dietro a loro. In Inghilterra no, perché la sua storia è zeppa di grandi matti, con i quali convivono ben volentieri, come con i fantasmi delle vecchie case.

 Serve un ripensamento radicale della mediterraneità, senza filosofie da salotto e senza ideologie; e con la rivalutazione delle potenzialità del Sud d’Europa.

 La Calabria, per qualche giorno capitale dei conservatori, dovrebbe trarre profitto da questa occasione. Ed è anche qui un fatto di cultura: è ora di tappare la bocca ai piagnoni a pagamento e ai registi in falso dialetto con i sottotitoli arrabattati. A cominciare proprio da quella Magna Grecia di cui tutti parlano e non ne sa niente quasi nessuno.

Ulderico Nisticò