Ancora teatro a Petrizzi


S. Pasquale legge miei versi“Ti amo da morire” è lo spettacolo di musica, versi e prosa ideato e diretto da Miriam Santopolo, dato a Petrizzi sabato 5 marzo, con le canzoni di Paola Sangiuliano, e la recitazione della stessa Santopolo e di Liliana Pologruto, Ilenia Paravati, Ivan Santopolo, Sabrina Pasquale, Peppe Giorla, Clarissa Soluri, Isabella Samà, Patrizia Tolotta. Un omaggio alla donna, senza dimenticare che la sua condizione, anche oggi, è difficile; e che troppo spesso l’amore è malato, e genera mostri. Tra musica e parole, scorrono scelti brani di letteratura italiana e straniera.
L’operazione culturale s’inquadra in una consolidata e antica tradizione teatrale di Petrizzi; e presenta l’interessante novità di alcune giovani che per la prima volta calcano le scene, e che hanno retto benissimo alla prova.
Sul tema dell’amore e della morte, sono stati ottimamente recitati questi versi di U. N., che hanno suscitato interesse del pubblico, e che dunque vale la pena di pubblicare, anche come auspicio di collaborazioni future.

ALLE TUE LE MIE LACRIME
E tu vorrai uccidermi, dici, per amore?
Tu, per amore, tagliarmi la gola?
Per amore tu rendermi grumo di terra?
O quale altro modo hai concepito nella tua ragionata follia
di dare notte ai miei occhi che ammiri,
al seno delicato soave,
al grembo soave che della tua pazzia è la causa oscura?
Veramente fanciulli, voi maschi, per voi veramente è un gioco strano la vita;
e non lo siete mai veramente quello che sembrate, uomini fatti, anziani.
Di qualche colpa mi accusi?
No, non sai niente di colpe, tu,
non siamo qui di fronte a un tribunale, o ai piedi di un confessore:
solo dentro di te parla dalla tua bocca qualche demonio infelice,
in cerca di impossibile gioia, e di qualche perfetto amore da sogni.
Io posso ora cercare di convincerti, e lo farò,
che io non sono una dea come tu credi,
non sono una regina dei tempi antichi,
non sono, come mentirono i menestrelli, una donna angelica,
ma una come te, con la noia,
con qualche malanno sottile:
una donna come tantissime altre.
E tu – la tua ira poetica per cui ti figuri un eroe mitico
degno di sangue e di gloria –
la crederesti insulsa ed inutile.
O potrei chiedere aiuto, e lo chiederò,
e verranno con armi a impedirti le mani.
Io potrei, e lo farò… vedi, è il telefono,
e sarò salvata, e tu forse in prigione.
Sì, posso farlo come io fossi, che so, un’impiegata postale
quando arrivano dei briganti a derubarla dei soldi;
sì, posso farlo come un incidente di strada,
come un qualsiasi caso che accade a noi vivi;
posso, come tu non fossi mai stato l’uomo che amai e che amo.
Posso e lo farò, e non sarò morta;
e avrò, andando, compatimento di te.
Ma questo io non posso, ed è la mia pena,
e sarà la mia angoscia negli anni,
e sarà la delusione dell’anima;
io questo non posso, o mio amore:
non mi è consentito comprendere.
E ora cosa fai? Ma guarda: tu piangi? Davvero un bambino!
Ma via, ora che perdi il coraggio, l’esaltazione,
e il crudele tuo amore,
io cui ora non è dato né morire né vivere,
e ti vedo come fossi tra le braccia di una mamma,
in una culla di vesti sottili, spaventato di ogni rumore e del buio;
io per pietà di te e di me, per dolore,
ora io unirò alle tue le mie lacrime.

PS: Siete tutti invitati, nell’ambito della Settimana del cervello, a “L’ippogrifo sa volare”, spettacolo sulla follia di UN con i valentissimi ragazzi del Liceo Scientifico: mercoledì 16 marzo.

Ulderico Nisticò


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