Patente di storico


 Chi guida senza patente viene multato, arrestato, eccetera. Giusto. E anche chi apre uno studio medico senza essere medico, eccetera. Giusto.

 Ebbene, perché non istituiamo anche una patente di storico? Attenti, non sto parlando di censura sulle opinioni circa il passato, ma di una cosa più semplice: la patente. Facciamo un esempio.

 Uno curioso. A Napoleone, nel 1814, venne assegnata l’Elba, che governò dieci mesi, anche con ottimi risultati; poi fuggì e, tornato imperatore, venne definitivamente subissato di legnate a Waterloo e spedito a S. Elena per morirvi di noia. Se fosse rimasto dov’era, magari campava altri cinquant’anni… e chissà se, nel 1848, non avrebbe assunto il comando delle truppe italiane vagamente federate, al posto dei confusionari Carlo Alberto e Guglielmo Pepe… tranquilli, Radetzky, che alla fine vinse, era più vecchio di lui; e si erano già affrontati a Lipsia nel 1813. Ecco, le mie sono utopie, e, implicitamente, opinioni. Se però io tentassi “con la scoperta di documenti che finora ci tennero nascosti” di far credere che nel 1848 Napoleone era davvero vivo e vegeto, le mie non sarebbero opinioni ma patetiche bugie, essendo egli defunto il 5 maggio 1821, come tutti sanno…

 …tutti? E qui arriva la patente, perché ogni giorno mi tocca leggere, sui social, e so di libri regolarmente stampati e venduti, non solo invereconde bugie ma anche e soprattutto sconoscenza dei fatti; e invenzioni di sana pianta. Primeggiano nell’arte della fandonia i meridionalisti della domenica e pinoaprilati (se scrivono che Cavour era cannibale, il successo è sicuro!), ma anche gli altri non scherzano: e ogni tanto spuntano i diari di Mussolini, di Hitler, di Pinocchio e Lucignolo… eccetera. Serve una patente.

 Come si fa, e chi la deve assegnare, la patente di storico? Ma chi ha gli strumenti essenziali per analizzare una pagina scritta e stampata. Esempio che tutti dovrebbero conoscere: dalla metà dell’VIII secolo al XVI, tutta Europa credette davvero che Costantino avesse donato l’Occidente alla Chiesa, facendo i bagagli per Costantinopoli; e Dante, adirato, compose il poema per condannare tale dissennata decisione (Inf. XIX eccetera); però ci credeva, e con lui l’Ariosto… Lorenzo Valla, che era filologo, lesse la cartuccella, e si accorse in un amen che era scritta in un latino ecclesiastico medioevale, e non nel latino imperiale del IV secolo. Dimostrò così, molto facilmente, trattarsi di una patacca. Così, nel mio piccolo, faccio io quando leggo palesi errori di luoghi e date, eccetera; e, per togliere la patente a Pinco e Palla, domando, per esempio, chi era Napoleone III: attenti, Terzo. E tutti gli storici mi cadono dal pero come foglie d’autunno, non avendolo mai sentito nemmeno nominare; e figuratevi in che secolo fece qualcosa e che.

 Lo stesso per Ulisse. In Calabria sono diventati tutti grecisti, più esattamente tutti esperti del dialetto ionico-epico in cui furono composti, o almeno definiti, i poemi omerici. Odissea alla mano, fanno sbarcare Ulisse nei seguenti luoghi: Amendolara; Catanzaro Lido; Copanello; Crotone; Nardodipace; per S. Eufemia, Gizzeria, Falerna, fate voi; Scilla; Squillace; Tiriolo… eccetera. S’intende, Odissea alla mano. Non saprebbero distinguere alfa da beta, però, lo ionico-epico per loro non ha segreti!

 In questo caso, la patente è più facile. Mandate da me questi grecisti, e io che faccio? Chiedo loro a bruciapelo il futuro del congiuntivo del verbo λύω.

 Pero da cui cadranno, dove sei?

Ulderico Nisticò