Sommosse e rivoluzione


Si racconta che, agli inizia dei fatti del 1789, Luigi XVI domandasse a un ministro se quello che succedeva era una sommossa; e quello rispose: “No, Maestà, è una rivoluzione”. Dubito moltissimo che l’apologo risponda al vero storico, però funziona bene come vero immaginario.

Sommossa e rivoluzione sono due termini diversissimi. Napoleone, che ne era figlio, definì così la rivoluzione: “Un’idea che ha incontrato delle baionette”. Le baionette sono la forza organizzata e disciplinata, e non facinorosi e vandali generici; e che impone un’idea. Per ora, non ci sono né baionette né idee. Però…

Dilagano sommosse e manifestazioni: Napoli, Roma, Verona, Romagna, Torino, Treviso, Trieste, Milano, Ferrara, Bari, Taranto… La ragione che accomuna tutti è che la battaglia per la salute, che in fondo tutti riconosciamo necessaria, sta però costando un prezzo altissimo all’economia e all’occupazione; e nessuno vuole morire di fame per evitare di ammalarsi di covid. O che qualcuno si ammali: ogni singolo malato è un dramma, ma i numeri che circolano sono insignificanti se relativi agli otto miliardi di abitanti del Pianeta.

Finora, i sussidi del governo sono in grandissima parte parole, se c’è ancora chi aspetta la cassa integrazione da marzo; quelli europei, pare arrivi subito una cifra effettiva, ma i famosi 209 miliardi di euro saranno disponibili, e tutto va alla grande, l’estate 2021. Sono debiti, non regali.

Ce n’è abbastanza, per delle sommosse. Ed è patetico che il malinconico Morra cerchi camorristi e la fanatica Boldrini berci contro i fascisti veri o fantastici: stanno protestando tutti, e nessun buonista sta scendendo in piazza a favore del governo.

Perché ciò divenga una rivoluzione, occorrerebbe la prima condizione napoleonica: un’idea. Nell’Europa e nell’Italia di questo declinante 2020, sono le idee che mancano del tutto. La cultura piccolo borghese tipo Muccino è quella del minimo comun divisore, cioè tutti d’accordo su non meglio noti “valori”, cioè sul nulla; e tutti attenti a non dire nulla di definito, se no c’è sempre qualche minoranza chiassosa che si lamenta. Ebbene, le idee sono tutt’altro: se io ho davvero idee, per forza non sono d’accordo con chi ha altre idee; e non è vero che “in fondo diciamo la stessa cosa” io e un marxista o un radical chic e un buonista; mi sbaglierò, ma non sono minimamente d’accordo.

In un mondo che cerca il minimo, invece, non ci sono idee rivoluzionarie perché non ci sono idee. Se ci fossero, allora scatterebbe l’altra definizione, quella di Mao: “Per fare la rivoluzione, occorre un partito rivoluzionario”. In quest’ordine, però; e non come pensa Invernizzi, che per fare un partito, nel suo caso la Lega, basti giocare ai soldatini nominando Pinchipalla a caso. Prima un’idea, poi le persone adatte, poi l’organizzazione e le nomine.

E quale idea? Sarà breve. Com’è possibile che, in un Occidente, anzi ormai in un mondo dall’immenso potenziale tecnologico, ci siano dei poveri, e in crescita numerica. Mi pare di sentite la risposta più da temino in classe: perché la ricchezza non viene distribuita. E invece no; se la ricchezza c’è e viene prodotta, si distribuisce da sola, anche se, ovviamente e giustamente, in parti non uguali. Oggi non c’è un problema di distribuzione, ma un problema di o sovrapproduzione o scarsezza. Perché non ci sono più i capitalsti dell’Ottocento, ma al loro posto i tecnocrati che applicano solidissime e sballatissime teorie studiate a pagina 47 di un testo in cui hanno insegnato loro tutto tranne il dubbio.

Ecco la rivoluzione: che l’economia torni ad essere indirizzata dalla politica, e per scopi politici nel senso più nobile. Ve lo spiego meglio un’altra volta. Per oggi, siamo alle sommosse, perché la gente sta male.

Ulderico Nisticò