Spauracchio Adriatico, sempre più possibile la metamorfosi della meravigliosa baia di Soverato in una laguna putrida


Nessuno si illuda: la recente inclusione tra i principi fondamentali della Costituzione italiana della tutela di ambiente, biodiversità ed ecosistemi non comporterà un automatico e immediato trionfo delle ragioni della vita sulle pulsioni di morte che si manifestano come caratteristica strutturale dell’attuale imperante religione dell’economia, non si farà d’incanto da parte una mentalità costruita sulla riduzione di tutta la Terra a semplice strumento di produzione di merci e di denaro e spazio di discarica.

Il PNRR per capirci, getta negli occhi il fumo del green e prepara l’arrosto dei territori (il cui continuo massacro è ormai da tempo il motore drogato di una crescita economica a tutto vantaggio della lobby del cemento), permeato com’è dalla filosofia sblocca-cantieri, dal sonno autolesionista della ragione e del cuore che ha prodotto mostri giuridici come la “Legge obiettivo” di un governo Berlusconi e il decreto “Sblocca Italia” del governo Renzi. Grazie a questa filosofia, per esempio, il cittadino italiano, “risparmiata” una manciata di minuti di percorrenza ferroviaria tra Firenze e Bologna, sta pagando milioni su milioni per affrontare le conseguenze ambientali di un’alta velocità spacca-Appennini.

Le prassi e la cultura attuale degli amministratori calabresi (che tenacemente continuano a evitare il ripristino dell’apparato normativo del Piano paesaggistico regionale del 2016 cassato dal presidente Scopelliti per mantenere mano libera ai distruttori della nostra regione), e il discorso purtroppo vale anche per la maggioranza di noi cittadini, non si discostano da questa scelleratezza; sono dunque ben fondate le preoccupazioni espresse dal documento di Italia Nostra “La baia di Soverato è a rischio”, che abbiamo sottoscritto e al quale rimandiamo.

Nel comprensorio soveratese, negli ultimi sconsiderati decenni, amministrazioni scadenti per cultura ecologica e senso di responsabilità nei confronti dei beni comuni hanno chiuso gli occhi su abominevoli interventi speculativi e hanno anche direttamente cementificato a man bassa, rendendosi materialmente colpevoli di un pesante contributo all’erosione dei litorali, fenomeno oggi sfruttato dai decisori attuali, degni prosecutori dei precedenti, come presupposto per la creazione di un sistema continuo di barriere, in prospettiva simile a quello che Ferdinando Boero, riferendosi alla costa che si distende a nord del Gargano, ha chiamato lunga muraglia adriatica.

Lo studioso, i cui interventi hanno anticipato le analisi e le indicazioni dei rapporti dell’ISPRA corredati da linee guida per fronteggiare la drammatica riduzione delle spiagge (il primo è del 2017, controfirmato da tutte le regioni che poi hanno continuato ad operare come se non esistesse), così sintetizza la terribile vicenda di un’altra area, che grazie a questi amministratori sta per diventare il nostro immediato futuro: tutto è cominciato con il primo comune che ha fatto il suo muro.

Quella difesa ha innescato una reazione a catena che ha portato in erosione i litorali vicini, anch’essi difesi con un bel muro (ce ne sono di tutti i tipi: barriere soffolte, barriere di massi naturali, tetrapodi in cemento, pennelli perpendicolari alla costa) e, nel giro di pochi decenni, tutta la costa è stata cementificata e massificata.

Se la storia fosse maestra di vita per il personale politico di ogni ordine e grado, impantanato invece nel fango di un permanente presente elettorale, si cercherebbe in tutti i modi di non ostacolare più la dinamica costiera con irrigidimenti di vario genere (lungomari, porti e via elencando): Alla natura – scrive ancora Boero – deve essere lasciato lo spazio per “muoversi”[…] Dobbiamo cominciare a pensare alla ritirata dalla linea di costa, ritirata delle infrastrutture, prima di tutto le strade, e poi le case, le decine di migliaia di case abusive che abbiamo costruito direttamente sulle nostre spiagge. Dobbiamo rifare tutto il nostro territorio costiero, c’è grande lavoro per gli ingegneri e per gli architetti ma, per favore, che lavorino di concerto con geologi ed ecologi.

Da soli hanno fatto già abbastanza guai, e il prodotto del loro lavoro passato non è una buona credenziale. Tutto il territorio nazionale è a rischio idrogeologico (per frane o erosioni) perché si è costruito dove non si doveva. Ci vuole una diversa cultura del costruire, una cultura che riconosca i diritti della natura, e che non pensi che si possa correggere tutto con un po’ di cemento o un po’ di massi. Le soluzioni proposte sono solo dei lifting che mascherano il problema, ma non lo risolveranno[…], la soluzione è invece radicale: occorre rinaturalizzare il sistema costiero, soprattutto nelle zone sabbiose.

Per abbracciare un disegno del genere è indispensabile una rivoluzione nell’immaginario collettivo, un rapido e deciso cambio di paradigma: bisognerà passare dall’idea dell’uomo onnipotente al senso del limite di un uomo nuovo, disposto a curare le relazioni con gli agenti ambientali da cui dipende; come ci ha ricordato un grande calabrese scomparso in questi giorni, il venerando direttore dei Quaderni del Sud e della casa editrice Qualecultura Francesco Tassone, bisognerà comprendere la necessità […] di uscire dalla trappola di un sistema di potere volto a conseguire il dominio di tutta la ricchezza vitale che forma il nostro orbe terracqueo; un sistema di potere avvolgente, capace di coinvolgere e asservire le sue vittime, legandole a sé e contemporaneamente sradicandole dal loro territorio, reso ogni giorno più sterile e amorfo[…]

I grandi disastri a cui stiamo assistendo, dall’abbattimento delle antiche foreste pluviali allo sradicamento di interi popoli e continenti, non sono altro che effetto diretto di questo processo di reificazione ed espropriazione della vita: di cui noi, occorre dirlo, abbiamo da tempo cessato di leggere origine e connessioni e di avvertire in pieno tutto lo scandalo della sua presenza.