Covid: la Calabria funziona?


 La Calabria è stata per un anno e mezzo al solito ultimo posto di tutte le classifiche buone e al primo del contrario; oggi, graduatorie a parte, pare sia arrivata a 800.000 dosi di vaccino, che, di fatto, è molto più di metà della popolazione; niente morti.

 Ebbene, se è così, e non ho motivo di dubitarne, bisogna che io lodi Spirlì e Longo con la stessa chiarezza con cui prima li ho criticati. Che hanno fatto, di tanto speciale ed eroico? Niente, e per questo li lodo: hanno agito come si agisce normalmente in una situazione normale di fonte a un problema. Di fronte a un problema qualsiasi, banale o drammatico, c’è solo un normale modo: freddezza di mente, immediatezza di decisione, esecuzione ordinata. Lo stesso di quando faccio la pasta al tonno; lo stesso di quando, sull’autostrada e a velocità elevata, mi scoppiò una gomma, e io sono qui a parlarvene, il che significa che ho fatto e non pensato;  e perché ho eseguito ordinatamente ciò che avevo immediatamente deciso, e soprattutto non mi sono soffermato nemmeno un rapidissimo istante a meditare. Se mi veniva una botta di deformazione professionale ricordando, con Orazio, “meta fervidis evitata rotis”, oggi ci sarebbe un erudito in più in Purgatorio, invece di un pensionato vivissimo quale sono.

 Ecco cosa serve alla Calabria, due cose: pensare pochissimo e niente, e agire con organizzazione. Cos’è l’organizzazione, ovvero ottimizzazione? È ridurre al minimo l’impiego di energie per ottenere il massimo risultato.

 Esempio. Arrivano i fondi europei? Ammesso, immediatamente stabilire cosa farne e come spenderli. Chiamare il funzionario addetto, e se costui (probabile al 90%) risponde il calabresissimo “Ci devo pensare”, subito sostituirlo con uno del tutto privo di capacità noetiche, ma azzardoso praticone empirico.

 Si deve fare la Trasversale? Subito mettete mano ai lavori. Lavori, cioè cose che si vedono e si toccano. E lasciare pensare i simpatici amici e storici che di fronte a un progetto, ne pensano uno migliore; e se avessero il progetto migliore, ne inventerebbero un altro migliore del migliore, pur di farsi venire i calli al cervello.

 Ecco cosa ci ha rovinati, in Calabria, negli ultimi quattromila anni: quello che Carducci chiamava “il tarlo del pensiero”. Ci urge il dantesco “capo ha cosa fatta”, ovvero, “gettare l’anima oltre l’ostacolo per andare a riprendersela”, e se non ci riusciamo, ciò è della condizione umana, ma è stato provato; ma se ci riflettiamo sopra, abbiamo già perso in partenza, come dai suddetti quaranta secoli ci avviene.

 “E se il destino è contro di noi, peggio per lui”, ovvero “una salus victis, nullam sperare salutem”. Ma mi metto a fare citazioni, ora? Ora sì, perché sono uscito vivo dall’incidente, e, da erede dei Romani, negli intervalli dei fatti mi posso concedere un poco di ozio letterario. Il brutto è quando l’otium prende il posto del negotium, come in Calabria accade da circa dodicimila giorni tutti dediti a starsela a pensare.

 Coraggio, Longo e Spirlì: andate avanti come una ruspa.

Ulderico Nisticò