I Medici, l’America e la Calabria


i-medici-dustin Ero prevenuto nei confronti dello sceneggiato americano Medici, dopo aver dovuto vedere una pacchianata come 300, e, peggio del peggio, Il ritorno di Ulisse; e Penelope fautrice della libertà sessuale col primo che capita, e, di conseguenza, il figlio di Laerte che, detto da Omero polytlas, colui che molto sopporta, doveva sopportare anche di essere fatto becco. Già vidi, anni fa, un Promessi Sposi con Renzo che sbaciucchiava Lucia! Tristi drammi umani del politicamente corretto e dei guasti “gusti del pubblico”.

 E invece no, tutto sommato, i Medici mi è piaciuto. Difetto quasi unico, la lentezza, e l’essere quasi solo parlato. Ma il parlato è pochissimo americano e telenovellistico, e dipinge a modo la condizione sociale e culturale della Firenze del XV secolo. Niente di sdolcinato: secondo la più radicata costumanza, l’amore è una cosa, i soldi sono un’altra, tutt’altra cosa! Buona la scenografia, a parte inevitabili anacronismi; gli attori e le attrici non abusano del loro visino, anzi recitano in maniera persino troppo seriosa. Pudiche le rare scene amorose: roba da prima serata. Insomma, testi, 7,50; scenografia, 9; tensione teatrale, 5: è un’opera didascalica, con scarso movimento.

 I Medici compaiono per quello che furono: mercanti di robe, soprattutto mercanti di soldi, banchieri.

 La loro storia ha origini un poco misteriose. Nel robusto elenco di famiglie fiorentine del XVI Paradiso, non ci sono; né altrove nel Poema; anche se i biografi crearono per loro, quando ormai potenti, degli alberi  genealogici nobiliari. Del resto non conveniva tanto essere nobili, a Firenze, dove per far politica bisognava appartenere a qualche corporazione di lavoratori; e i nemici dei Medici, con uso politico della giustizia, tentarono di nobilitarli proprio per levarseli dai piedi; e i Medici si affannavano a dimostrarsi plebei. Fatta la legge… anche a Firenze! Ovvero, l’uso politico della giustizia!

 Cosimo detto poi il Vecchio (1389-1464) fondò il potere della famiglia, e, per il potere, usò il denaro; e usò il potere e il denaro per poter rimanere a Firenze. Poteva andarsene in qualsiasi altro luogo d’Italia e d’Europa dove aveva interessi, ma era fiorentino, e tale voleva restare; avendo molti nemici, per poter restare nella sua città se ne dovette, di fatto, impadronire; con il consenso universale del popolo “minuto”; donde l’imprenditoria non solo finanziaria ma anche economica e produttiva; e le grandi opere pubbliche. Eh, chi si ricorda del 1992? Io sì, ma non è qui il luogo.

 Il nipote di Cosimo, Lorenzo il Magnifico (1449-92), fu il grande mecenate e “ago della bilancia politica d’Italia”; che, infatti, morto lui, finì in un disastro politico pari alla grandezza della sua civiltà rinascimentale: meditate su questo ossimoro, e ripassatevi (o studiate?) il Vico. Dal suddetto disastro, l’Italia, non si è ancora ripresa.

 Un Medici, Alessandro, per la prima volta divenne anche formalmente “principe”, venendo creato nel 1530 duca di Firenze. Ucciso da Lorenzaccio, gli successe Cosimo detto il Grande, granduca di Toscana; era figlio di Giovanni delle Bande Nere: vi furono dei Medici guerrieri; anche se il ferreo capitano “pigliava” certo più dalla madre Sforza. La dinastia si estinse nel 1737.

 Cosimo e Medici, forse a qualcuno si drizzano le orecchie. E fa bene, perché i Medici furono molto devoti ai Santi Medici, donde la frequenza del nome Cosimo (Cosma); e diffusero la venerazione dei Taumaturghi.

 Che c’entra la Calabria? Ecco un curioso episodio: il granduca Ferdinando II (1621-70) era creditore di forti somme dalla Spagna, e per essa, dal viceré di Napoli, e propose di sanare la questione acquistando i Casali di Cosenza: s’intende, a titolo personale, come feudatario. Erano i novanta villaggi, detti anche pretorie, che fanno corona alla città, e non erano mai stati feudali, ma dipendevano, come Cosenza, dal re; i Casali dipendevano da Cosenza, e solo con gli occupanti francesi del 1808-15 divennero Comuni. Cosenza e i Casali si chiamavano la Sila Regia, e confinavano con la Sila Badiale, di San Giovanni in Fiore.

 Ferdinando, prima di trattare, inviò suoi agenti, che ci hanno lasciato curiose relazioni anche sui costumi degli abitanti, avvertendo il granduca di non farsi strane idee, perché i Calabresi “non tengono le corna, ma le compartiscono ad archibugiate”; altro che don Rodrigo! A parte la prudenza, gli agenti ritennero positivo l’affare. L’acquisto si fece, ma i Casali si ribellarono, e la cosa ebbe breve durata.

 Qui dovremmo parlare dei rapporti già secolari tra la Calabria e Firenze; ma di questo, un’altra volta.

 Aspettiamo le altre puntate.

 Aspetteremmo anche qualche sceneggiato sulla storia della Calabria. Visto che c’è poca speranza, mi contenterei anche che lo facessero gli Americani. Argomenti? Gliene posso suggerire a decine, tranne due: l’emigrazione e l’antimafia segue cena. Ho scritto sceneggiato, non piagnisteo.

Ulderico Nisticò


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