Coronavirus, riapertura bar e ristoranti in Calabria. Anche i medici contro la Santelli


Sconfessata da tutti gli ordini provinciali dei medici calabresi e persino dall’infettivologo che lei ha chiamato nella pachidermica task force costruita per affrontare l’emergenza Covid19. Mentre la governatrice calabrese Jole Santelli continua a difendere l’ordinanza con cui ha autorizzato bar e ristoranti a ripartire con il servizio ai tavoli già dal 30 aprile e risponde picche al governo che minaccia diffide e impugnazioni, si allarga il fronte di chi ne chiede l’immediato ritiro.

Dopo i sindaci che hanno bloccato a forza di ordinanze il provvedimento regionale, attualmente applicato solo in un pugno di Comuni di tutta la Calabria, chef e ristoratori, sul piede di guerra per essere stati mandati allo sbaraglio senza neanche essere interpellati, sindacati, consiglieri regionali, cittadini comuni più confusi che persuasi dalla nuova ordinanza, a far sentire la propria voce sono anche i medici. Incluso l’infettivologo Raffaele Bruno, direttore del reparto di “Malattie Infettive” del “San Matteo” di Pavia, che Santelli ha voluto a tutti i costi come esperto della sua task force. Peccato che abbia dimenticato di consultarlo.

A rivelarlo è lo stesso Bruno, che ai microfoni dell’emittente calabrese Cosenza channel ha detto “la presidente non mi ha interpellato, ho appreso questa cosa dai giornali. Come medico, l’avrei vivamente sconsigliata”. Poi, certo, “gli esperti possono dare indicazioni tecniche e tocca ai politici prendere decisioni. Magari il rischio è calcolato” aggiunge, smussando un po’ i toni.

Assai più netta la presa dei medici calabresi, che fanno appello “ai governanti della nostra Regione affinché recedano dai loro propositi”. È necessario mettere fine all’isolamento assoluto “anche per motivi sanitari” sottolineano, ma bisogna procedere con “la massima prudenza e una attenta gradualità di tempi e modi contraddetta invece dalla volontà di riaprire locali di ritrovo”.

Quell’ordinanza invece è di fatto, dicono chiaro i camici bianchi calabresi “un indiscriminato via libera per tutti, che potrebbe avere conseguenze negative, che nessuno vuole e che vanificherebbe i sacrifici finora compiuti con enorme senso civico dai calabresi”. Per riaprire in sicurezza – sottolineano – serve altro, a partire da “una serie di garanzie fra cui l’obbligo di test specifici e recenti oltre che della doverosa quarantena controllata” per i fuori sede che dal 4 maggio potranno tornare a casa. “Non è in ballo il consenso, ma il primo bene per ogni essere umano: la vita e la salute” tuonano.

Ma le loro indicazioni sono rimaste sostanzialmente lettera morta. La governatrice non ha nessuna intenzione di ritirare la sua ordinanza. Al contrario “non mi sembra uno scandalo” sostiene perché “i ristoranti non li ho aperti io ma il governo prevedendo la possibilità dell’asporto e l’apertura delle cucine e tutto ciò che ne consegue. Io ho aggiunto la possibilità di qualche tavolo fuori”. Con largo anticipo rispetto al cronoprogramma, che autorizza il take away solo a partire dal 4 maggio.

Anche sul rientro ordinato dei fuorisede però le indicazioni dei medici sono state sostanzialmente ignorate. Con un nuovo provvedimento Santelli ha blindato le frontiere della Calabria a chi non abbia residenza o domicilio in regione e obbliga chi fa ritorno a casa a registrarsi sul sito della Regione, comunicare il rientro a medico curante e Asp, come a quattordici giorni di quarantena.

A casa, magari con i familiari e senza previo test. Al rientro in Calabria nessuno avrà l’obbligo di sottoporsi a tampone, al massimo toccherà al “dipartimento di Prevenzione valutarne la necessità/opportunità”, mentre “l’isolamento” previsto sarà “volontario” e “domiciliare”. Con buona pace delle indicazioni di medici ed esperti che da settimane mettono in guardia dal pericolo di focolai domestici. (La Repubblica)