Guardavalle, inchiesta Mythos: condanne rimodulate in appello per prescrizione


Sostanziale conferma delle condanne per numerosi reati, emesse il 13 settembre 2018 dal Tribunale di Velletri nei confronti di 14 imputati ritenuti intranei al clan di Guardavalle, con diramazioni in territorio laziale.

La Corte d’Appello, in particolare, ha dichiarato la intervenuta prescrizione di alcuni reati ed ha parzialmente rimodulato le pene, ora ricomprese in una forbice tra i 10 ed i 15 anni di reclusione.

I giudici hanno quindi condannato Antonio Giannini a 15 anni e 5.350 euro di multa; Rosario Colubriale a 11 anni, 6 mesi e 15 giorni, Fabrizio Latassa a 11 anni e 10 mesi, Domenico Origlia a 10 anni, 7 mesi e 15 giorni e 3.250 euro di multa; Salvatore Papaleo a 10 anni, 2 mesi e 15 giorni; Vincenzo Gallace a 11 anni, 6 mesi e 15 giorni e 3.150 euro di multa: Vincenzo Gallelli, Maurizio Tripodi, Francesco Cicino e Vincenzo Alessio Novella a 10 anni di reclusione. Confermate le condanne di primo grado per Carmelo Vitale e Raffaele Andreacchio. Non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di Leotta Cosmo.

L’unico proscioglimento, per violazione del ne bis in idem, è stato disposto per Francesco Aloi, in primo grado condannato alla pena di anni 11 di reclusione per la sua ritenuta posizione di vertice nell’ambito della cosca, unitamente al suocero Vincenzo Gallace.

Accolte dunque le censure della difesa, rappresentata dagli Avvocati Francesco Lojacono e Vincenzo Cicino, che avevano evidenziato come l’Aloi, per gli stessi fatti, fosse già stato giudicato e prosciolto con sentenza del GUP di Roma nell’ambito del parallelo procedimento “Appia”.

L’indagine Mythos ha avuto un lungo e travagliato sviluppo: le ordinanze cautelari erano state emesse nel lontano settembre del 2004 su richiesta della Procura Distrettuale di Catanzaro, ma una volta incardinato il processo, il Tribunale della stessa città, accogliendo la relativa richiesta avanzata dalle difese, si era dichiarato territorialmente incompetente, disponendo gli invio degli atti all’Autorità Giudiziaria di Roma, osservando come i più gravi reati oggetto di contestazione risultassero commessi in territorio laziale.