Lettere su Badolato n. 4. Capitolo Primo – La mia infanzia (1950-1961)


badolato3Caro Tito, dopo le tre lettere di necessarie premesse alla mia grande storia d’amore per Badolato mio luogo natìo, adesso cerco di entrare, con il Primo Capitolo, nel tema del mio racconto di come, piano piano, mi sono innamorato di Badolato Paese (che oggi viene chiamato Badolato Borgo) e del suo popolo già quando abitavo al casello di ferroviario di Kardàra dai primi anni della mia infanzia fino a tutto il 1961, quando (a undici anni e mezzo) considero essersi compiuta la mia “infanzia” con la prima vera esperienza sessuale. Avrei voluto intitolare questa mia quarta lettera “La mia, una Wita d’Amore e da Amare” perché, adesso, che ho la migliore età dei bilanci esistenziali (mancano, infatti, poco più di due mesi al compimento dei miei 66 anni) posso ben dire di essere stato amato assai e di avere amato davvero tanto. Alla luce degli eventi mi chiedo se forse non abbia amato anche troppo la mia famiglia, il mio paese (pietre e popolo) come elemento della più grande Umanità. E, in seguito, ho amato tanto anche ogni luogo e ogni popolo che mi hanno accolto nelle varie fasi della mia crescita e della mia esistenza, a cominciare da Roma città (determinante nella mia formazione non soltanto universitaria) per finire con l’Alto Molise e, in particolare, con Agnone città-territorio (nella cui frazione Villacanale è nata mia moglie Bambina Mastronardi). A tutti i miei Genitori (da quelli che mi hanno procreato e cresciuto fino a tutti coloro che hanno contribuito ad emanciparmi) ho dedicato, come sai, i sette volumi del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (2005-2007). Memore della “Gente di Kardàra”, al popolo di Villacanale ho dedicato pure il libro “Villacanale il paese delle regine” (1996) definendo “vere” regine le contadine e le operaie che (in condizioni logistiche, storiche, sociali ed economiche quasi proibitive) si sono sudate la vita più di tante altre persone (comprese le regine regnanti e incoronate). Ho scritto e pubblicato quelle pagine pensando pure ai contadini e agli operai di Kardàra, poiché tutto è partito da loro, come sto per raccontarti. E, per mio interessamento, le contadine e le operaie di Villacanale hanno avuto per più di due ore la ribalta nazionale televisiva di Rai Tre in collegamento diretto nell’ottobre 1996 proprio sulla base di questo volumetto “Villacanale il paese delle regine”. Una grande soddisfazione per loro ma anche per me. Esaltare i più umili è, tra l’altro, non soltanto un aspetto della “giustizia sociale” laica ma anche un prioritario valore cristiano (per chi ci crede veramente).

Ma, prima, è doveroso farti capire che cosa intendo per “Amare” (con la A maiuscola) e per “Amore” perché, altrimenti, rischiamo di fraintendere i valori su cui si basa questo mio racconto, sebbene proposto a te e ai nostri Lettori sotto forma di semplici “Appunti” (cioè di un “testo-promemoria” per un futuro lavoro che spero possa essere realizzato da me o da altri). “Appunti” scritti senza rifiniture con il solo scopo di dare un orientamento del prima-durante-dopo la vicenda conosciuta come “Badolato paese in vendita” (biennio 1986-88), poiché (è utile ribadire) questo mio racconto-resoconto gira attorno a questo tema ed evento sociale che è mio dovere precisare con il maggior numero di particolari possibile e con tutte le motivazioni che l’hanno ispirato. Motivazioni che nascono, si formano e partono, appunto, fin dalla mia infanzia … ed ecco perché (per amore di verità e per verità d’amore) ritengo giusto che io parta da così lontano. Ovviamente chiedo scusa per le immancabili ripetizioni o per altre sbavature in questo racconto … ma queti sono semplicemente “Appunti” orientativi! “Amare” e “Amore” sono sentimenti così comuni che dovrebbero appartenere indistintamente a tutti, più o meno. Ma è necessario precisare alcune cose, dal momento che non tutti amiamo nel medesimo modo, con la stessa forza e con eguali motivazioni e sfumature. E soprattutto con i medesimi traguardi. Eh, sì … perché l’amore e la passione necessitano di mete, di traguardi, di scopi, di ideali cui tendere. E la vita dovrebbe essere una continua, tenace, incessante “tensione” etica, civile, umanitaria, escatologica. L’Amore è o dovrebbe essere un continuo, incessante movimento benefico e creativo. Di solito, chi ama veramente non ci dorme la notte!

02 - Badolato da F. Varano - 10.12.2015 casino rurale diroccatoInfatti, tutti, più o meno, sappiamo che Amare veramente una persona, un luogo, un ideale, una vocazione, una missione, una meta, un traguardo (ecc.) può significare non badare a spese, a sonno, a fame e sete, a stanchezza e a qualsiasi altro sacrificio (specialmente perdere tante opportunità esistenziali e, a volte, persino la stessa vita). Sappiamo altresì che, in maggior parte, i veri e grandi amori sono per sempre, nonostante tutti i patimenti, i tradimenti ed ogni altra offesa possa ferire chi Ama di più. Ciò è possibile poiché chi Ama davvero, senza riserve, Ama prima l’Amore in senso assoluto e poi, di conseguenza, la persona amata, il luogo amato, la vocazione amata, la missione amata (ecc.). Ritengo che, in fondo in fondo quando viviamo un grande Amore, noi ci nutriamo di “Sublime”. Da ciò la sua grande forza! Perciò, grande Amore è la tendenza a partecipare al “Sublime” più assoluto, sia in termini religiosi che laici. E la “purezza” è condizione indispensabile per anelare al Sublime e “rappresentarlo” come vissuto nel nostro quotidiano.

“Rappresentarlo” … ho sempre pensato che la nostra esistenza sia come un palcoscenico teatrale su cui (volenti o nolenti) “rappresentiamo” appunto noi stessi, ciò che siamo o ciò che vorremmo essere. Rappresentiamo specialmente i Valori ricercati e fatti nostri. Ne diamo dimostrazione con il nostro vivere, con il nostro esempio. Più siamo convinti di questi Valori e meglio li rappresentiamo. Sulla scena della vita si può fingere fino a un certo punto!… Prima o poi, la gente (il pubblico) si accorgerà di come e quanto siamo “veri” … come e quanto vicini al “Sublime”. Ma, prima di tutti gli altri, ce ne accorgiamo noi stessi!…

03 - Badolato di Francesca Varano - 25 nov. 2015 interno chiesa S. caterina con fedeliIn fondo, ritengo che l’intera nostra esistenza è un “discorso attorno al Sublime”. Anche se non ci abbiamo mai pensato. Anche se non ce ne accorgiamo. Anche se non ne siamo coscienti. Ma quasi sicuramente lo possiamo intuire o percepire. Personalmente l’ho percepito quando nel 1967 ho iniziato a scrivere “vita” con la W – Wita e chi stava vicino a me mi soleva dire che io tendo all’Assoluto. Probabilmente c’è identità tra “Assoluto” e “Sublime” sia in termini religiosi che laici. Tendo a pensare che l’Assoluto e il Sublime siano legati ed esaltati dalla “Sacralità”. Sacralità della Wita, delle Persone, dei Valori-Walori (ecc.). Sacralità e valori attinenti e conseguenti! Ecco pure perché avrei voluto intitolare questa lettera n. 4 su Badolato (cioè il Primo Capitolo della narrazione che ci condurrà alla vicenda del “paese in vendita”) “La mia, una Wita d’Amore e da Amare” … poiché già nella mia infanzia (che è il periodo che sto per considerare adesso) si è delineato il profilo della mia esistenza (come ho pure descritto nel libro “Prima del Silenzio” – 1995 – accennando all’Armonia di Kardàra dove ho trascorso la mia semplicissima però magnifica infanzia). Kardàra è stato non soltanto il luogo dell’anima, per me, ma la prima esperienza di “Sublime” attraverso l’Armonia di luogo e persone.

04 - badolato di f. varano 25.11.2015 - uscita statua S. caterina da Chiesa 1646Ho trovato (tra i miei molteplici “Appunti” precedenti) altre frasi simili che si confermano a vicenda, come ad esempio: “Domenico Lanciano … una Wita di grande passione, una grande passione per la Wita!”. Ed un’altra frase ancora: “Domenico Lanciano … un idealista che si confronta con la realtà”. Ognuno di noi cerca una propria “identità” pur nelle evoluzioni delle età della nostra esistenza. I miei “Appunti di Iter” sono pieni di queste puntualizzazioni, come ad esempio “Vivo con la mente ed il cuore sempre accesi”. Oppure come quella “carta di identità” che ho pubblicato alla pagina 64 del primo volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori”: Corpo del Sud – mente del Nord – cuore universale – mi dibatto ancora tra Est ed Ovest – sempre con lo sguardo e l’anima – oltre le stelle …

Questo, per anticipare e precisare che la vicenda del “paese in vendita” è frutto di questo grande amore per la Wita e, quindi, per il mio paese natìo. E il racconto particolareggiato che sto per fare lo proverà ampiamente. Pure per questo parto da così lontano, dalla mia infanzia … convinto come sono che è nell’infanzia che possiamo trovare i semi dei frutti futuri, quelli della giovinezza, della maturità e della vecchiaia. Ragionando sul metodo migliore per porgere questo mio lungo racconto, ho pensato che alcuni Appunti possono essere dati, quasi schematicamente, per anno di età e che altri Appunti possano essere svolti in considerazioni più approfondite ed estese (quando utile o necessario) … ma tutto ciò è presentato unicamente come base motivazionale dello scopo principale da dimostrare … come e perché sia giunto all’idea e alla conseguente realizzazione di “Badolato paese in vendita”.

Fin dalla conclusione del biennio di tale vicenda (1986-88), ho sempre pensato al titolo da dare al racconto di questa storia sociale da scrivere e tramandare alle presenti e alle future generazioni. Da allora ad oggi, molteplici sono state le idee a riguardo. Su un titolo, tra tutti, sono rimasto più convinto e, quindi, lo darei come più probabile: “Badolato paese in vendita? Una grande storia d’amore!”. E, in attesa che ne maturi un altro più significativo e convincente, per il momento adotto questo per intitolare il racconto che inizio con il seguente Primo Capitolo. Dunque …

Domenico Lanciano

(Appunti per)

BADOLATO PAESE IN VENDITA? UNA GRANDE STORIA D’AMORE!

Capitolo Primo

BADOLATO NELLA MIA INFANZIA (1950 – 1961)

06 - badolato di f. varano 25.11.2015 processione verso jusuterraSuddivisi per anni, qui di sèguito riporterò i ricordi relativi esclusivamente alle persone e ai fatti che sono legati a Badolato Superiore, cioè al borgo antico. Tutto ciò per dimostrare come e perché, piano piano, l’amore per questo paese e per questo popolo abbia riempito la mia esistenza prevalendo socialmente più di ogni altra cosa.

Per farti capire meglio come si è acceso, è cresciuto e si è evoluto il mio grande amore per Badolato Superiore, devo evidenziare che, nonostante io sia nato in riva al mare e non sul borgo in collina, ho vissuto i primi 12 anni della mia esistenza prevalentemente a contatto con la comunità dei contadini che, provenienti dal borgo antico, coltivavano i terreni attorno al casello di Kardàra dove sono venuto al mondo e dove ho abitato fino al settembre 1962. In pratica, culturalmente è come se fossi nato a Badolato Superiore, pur mantenendo la distinzione o la diversità di essere un “marinòto” in tutto e per tutto. E’ determinante tenere presente ciò, poiché senza i contadini di Kardàra la mia vita sarebbe stata completamente differente e non starei qui a fare questo lungo racconto.

07 - badolato f. varano 25.11.2015 processione rione pezzi-carraCapirai, caro Tito, pagina dopo pagina, episodio dopo episodio, aneddoto dopo aneddoto, passaggio dopo passaggio, come e quanto l’amore per la “Gente di Kardàra” (fatta principalmente di contadini del borgo, operai, ferrovieri, viaggiatori ed altra vasta gamma di persone e personaggi) abbia caratterizzato e ancora (come vedi) caratterizza il mio stare al mondo. Il fatto, poi, che l’età vissuta con la “Gente di Kardàra” sia stata quella della mia infanzia è estremamente importante poiché (si sa) il vissuto dell’infanzia condiziona il resto dell’esistenza. Ed è assolutamente vero, almeno nel mio caso. La mia infanzia coincide proprio con il periodo trascorso a Kardàra. E si conclude bene, molto bene proprio a Kardàra. La mia infanzia ha un senso “compiuto” (preciso e meraviglioso) proprio perché inizia e termina a Kardàra e ciò mi rende ancora adesso davvero tanto felice e, per alcuni versi, pure fiero ed orgoglioso di questa prima età della mia Wita. Non riuscirei ad immaginare per me una infanzia di altro tipo o un’infanzia migliore!

08 - BADOLATO di F. Varano - chiesa immacolata 8 dicembre 2015Ma, quanto dura il periodo dell’infanzia? … Per il Servizio Sanitario Nazionale, l’età pediatrica si prolunga fino ai 14 anni. Ma, generalmente, è opinione comune (e scientifica) che l’infanzia sia quella età della vita che va dalla nascita fino alla pubertà (ovvero fino alla maturazione sessuale, quella che dovrebbe rendere possibile la procreazione). Alcuni tendono a suddividere in prima infanzia (0-2 anni), seconda infanzia (3-6), terza infanzia o fanciullezza (6-pubertà).

Ritengo che la mia infanzia abbia rispettato, tutto sommato, tali indicazioni che ricalcano (più o meno) pure le “età sociali” per come concepite dall’attuale pedagogia di Stato. Infatti, anche oggi, i bambini restano, generalmente, in famiglia i primi tre anni (quando i genitori, per esigenze varie, non sono costretti a ricorrere in anticipo agli “asili-nido”), poi il bambino frequenta la scuola materna, quindi la scuola elementare, la scuola media dell’obbligo e così via.

Ecco, qui di seguito, suddivisi per anno, le principali tappe di avvicinamento al biennio 1986-88 del “paese in vendita”.

ANNO 1950

09 - badolato di f. varano 08.12.2015 stendardo salita immacolataMia madre Maria Giuseppa Menniti (contadina e casalinga, Badolato 09 marzo 1909), che è andata in sposa a mio padre Bruno Lanciano (contadino e ferroviere, Badolato 28 gennaio 1905) il 26 novembre 1927, ha dato alla luce nella casa coniugale di Via Siena 3 (rione Jusuterra – Bassaterra) di Badolato Paese i miei fratelli Giuseppe (1930), Vincenzo (1932), Antonio (1935), Ottavio (morto alla nascita il 22 marzo 1947) e le mie sorelle Domenica (06 marzo – 09 aprile 1929), Vittoria (1937), Rosa (1940), Domenica (1942) e Concetta (1945).

10 - badolato di f. varano 08.12.2015 stendardi salita immacolataPoi, in Marina al casello ferroviario di Kardàra, ha partorito Francesco, morto alla nascita il 01 luglio 1948. E, sempre a Kardàra, sabato 04 marzo 1950 alle ore 2 di notte, stavo per morire anch’io alla nascita, se non fosse stato per l’abilità dell’ostetrica (mammana) Giorgina Bolognesi la quale mi ha rianimato (quasi “resuscitato”!) e poi battezzato appena nato, temendo che sarei morto da li a poco come i precedenti miei due fratelli. Poiché il parto si presentava assai difficoltoso (come poi in effetti è stato) mio padre preferì chiamare l’ostetrica più vicina che era quella di Isca Marina (due km di pianura contro i 6 km in salita per Badolato Paese).

Ritengo che, così facendo, mio padre e la “mammana” mi abbiano salvato la vita. Mia madre ha sempre addossato al medico (che l’aveva assistita durante i due precedenti parti) la morte dei miei fratelli Ottavio e Francesco. La camera da letto genitoriale (dove sono nato), seppure avesse una finestra verso sud, era tutta rivolta con una porta ad est, lato mare e ferrovia (una posizione assai significativa per me, ancora oggi, specialmente per il mare ma anche per la “rete” ferroviaria che idealmente univa tutto il mondo con i suoi binari). Tuttavia, la strada nazionale jonica 106 correva a meno di 20 metri da quella stanza da letto ed anche la strada resta, ieri come oggi, un simbolo di “rete” che unisce il mondo, come pure il mare. Strada, ferrovia e mare tre simboli onnipresenti nella mia vita! Perciò, appena nato, le mie orecchie avranno percepito quasi sicuramente le onde del mare, il passaggio dei treni della notte e di qualche automezzo o almeno dell’autobus che di prima mattina transitava lentamente per raggiungere Catanzaro da Guardavalle via Badolato Superiore.

11 - badolato di f. varano 08.12.2015 salita immacolata processioneTre mesi esatti dalla mia nascita, mio fratello Giuseppe partiva per Buenos Aires per non tornare più. Purtroppo è morto il 22 novembre 1996 quando già gli avevo annunciato che nel settembre 1997 sarei andato in Argentina per conoscerlo. E’ importante questo particolare, connesso all’emigrazione di massa del mio popolo. E’ doloroso l’esodo ed è dolorosa (come un’amputazione fisica) la separazione di un familiare. Come amputazione ho vissuto pure l’emigrazione in Australia di mia sorella Rosa, nel gennaio 1962. Due grandi traumi nella mia vita che, ritengo, abbiano contribuito alla mia “rivolta”, alla mia “ribellione” esistenziale (culturale e civile) a favore del mio popolo, della mia gente, del mio paese che porta nome di Badolato come simbolo di tutti i popoli, le genti e i paesi martirizzati sull’altare della religione dei cattivi valori individuali e sociali (primi tra tutti il potere e il denaro, assieme ad altre dannose avidità).

ANNO 1951

12 - badolato di f. varano 08.122015 la fatica della salita jusuterraAvevo un anno e mezzo quando, poi, nel settembre 1951 sono stato battezzato “ufficialmente” nella chiesa di San Nicola (la parrocchiale risalente al 13° secolo, sita del rione di appartenenza della mia famiglia, la Jusuterra – Bassaterra o Terra di sotto). Padrino è stato Giuseppe Cunsolo (Badolato 09 giugno 1915 – 09 febbraio 2004), contadino di Kardàra, con la cui famiglia intercorrono altri comparaggi. Curiosità: l’abito che ho indossato per le cerimonia del battesimo apparteneva al bambolotto che mia cugina Immacolata Gallelli teneva sul suo letto (infatti, era uso diffuso in Badolato che durante la giornata venisse messo sul letto coniugale e/o su altri letti un bambolotto o una bambola a grandezza di bambino di un anno circa). Adesso tale abitudine è caduta in disuso ed è raro vederlo sul letto di qualche casa (forse esiste ancora sul letto di anziani coniugi).

13 - badolato di f. varano 08.12.2015 salita procerssione immacolata con v. femiaVoglio qui spendere almeno due parole per questo mio compare di battesimo, poiché molto più avanti, in altra lettera, descriverò i meravigliosi rapporti di amicizia, di grande rispetto e di fratellanza che hanno legato le nostre famiglie. Compare Peppe (come lo chiamavamo) è il personaggio che più di tutti mi ha legato non soltanto a quella che io chiamo “la gente di Kardàra” ma all’intero popolo di Badolato, cioè a quello fatto di veri e grandi lavoratori i quali, nonostante l’infaticabile impegno nel lavoro, non riuscivano a vivere dignitosamente per implacabili condizionamenti padronali. Quando penso a costoro provo ancora adesso sentimenti di commozione e di gratitudine per quanto hanno significato per me!… La sua vita, come quella di tanti altri contadini, è stata davvero tanto, troppo sofferta (come parecchi uomini non solo italiani che hanno dovuto subìre la seconda guerra mondiale). Dal 1936 al 1945, per quasi 9 anni, è stato “sotto le armi” (come si diceva allora) al servizio della cosiddetta Patria (prima come militare di leva 1936-39, poi in guerra 1940-43, quindi 1943-45 prigioniero dei tedeschi). E’ stato utilizzato sui fronti di Francia, Africa settentrionale, Grecia, Jugoslavia, Albania (dove, a Durazzo, fu catturato dai tedeschi e spedito nei campi di concentramento e lavoro della Germania). Poi, a rompersi la schiena nel coltivare la terra con una remunerazione da fame. Da ciò le tante, troppe bestemmie contro uno “Stato” e un “Governo” ingrati e vessatori. Per i contadini a Kardàra, nel resto di Badolato e in tutti i paesi calabresi e meridionali c’era ancora il Medioevo, quasi un inferno, in tutto e per tutto. Poi, a metà degli anni sessanta, si aprirono le porte dell’emigrazione (prima stagionale e poi permanente) verso il centro-nord Italia e verso alcuni Paesi del centro Europa. Ma, a quale costo individuale e sociale!… Adesso ci troviamo con i nostri paesi spopolati e afflitti!… E famiglie e comunità divise perché sparse in mezzo mondo!…

14 - badolato di f. varano 08.12.2015 parroco v. Gallelli e processione jusuterraLa “Gente di Kardàra” (di cui Giuseppe Cunsolo è emblema) ha giocato il maggior ruolo nell’ispirare la mia Wita. Infatti, la “Gente di Kardàra” è stata e continua ad essere la mia unità di misura imprescindibile per la verifica di ogni valore umano e sociale. Ho avuto sempre presente, nelle mie decisioni epocali di Wita, la “Gente di Kardàra” reale e simbolica. La “Gente di Kardàra” è stata e continua ad essere la mia “Umanità” sofferente e anelante. Due valori imprescindibili hanno e continuano a mantenere accesi i motori della mia incessante attività socio-culturale: la “Conoscenza” e la “Gente di Kardàra” che confluiscono entrambe nella mia “Wita d’Amore”.

Dicevo “incessante” attività socio-culturale. Tale mia inquietudine e il mio super-attivismo mi caratterizzano da sempre, da bambino addirittura, quando ero al casello di Kardàra e mia madre mi diceva, alquanto preoccupata: “Ah figghyu, o riposi mai!” cioè “Ah figlio, non riposi mai!”. Frase detta in altri modi come ad esempio “Ah figghyu, on risedi mai!” cioè “non riesci a stare mai tranquillo, non stai mai calmo, non stai mai fermo un minuto” (sempre in movimento) … che ha il medesimo significato. E sono frasi che mia madre mi continuava a dire anche e soprattutto nel biennio 1986-88 del “paese in vendita” quando davvero tale “missione” esigeva una continua mia presenza attiva per fare andare avanti una operazione inarrestabile (che bisognava pur governare, gestire nel migliore dei modi). Si era iniziato il ballo ed era indispensabile continuare a ballare, anche se i ritmi erano diventati sempre più forsennati e quasi insostenibili. Ma la mia grande passione, il mio grande amore per Badolato (e in particolare per la “Gente di Kardàra”) mi hanno dato la forza e la lucidità per reggere i ritmi e per produrre qualcosa di efficace, qualcosa che nessuno fino ad allora aveva mai ipotizzato o realizzato. La “Gente di Kardàra” è ancora e sempre attuale e oggi è costituita da tutti coloro che stentano ad avere una vita normale, degna dei parametri minimi di esistenza umana e sociale. Oggi la “Gente di Kardàra” ha il volto dei migranti veri (non di quelli camuffati) che provengono dagli altri continenti. Ma c’è ancora vessata ed immiserita, nella nostra stessa Italia, tanta “Gente di Kardàra”. Ed è ancora adesso questa “Gente di Kardàra universale” il metro del mio deserto (come affermo in una mia poesia, presente nella raccolta adolescenziale di “Gemme di Giovinezza” 1967). L’unità di misura del mio pensiero e della mia azione sociale. Non si potrà mai capire la vicenda del “paese in vendita” se non si conosce e non si comprende bene tale passaggio fondamentale della mia Wita basata sulla “Gente di Kardàra”. E compito principale di questo mio racconto è proprio evidenziare ciò, anno dopo anno.

ANNO 1952

16 - badolato di f. varano 08.12.2015 francesco gallelli processione jusuterraIl primo ricordo che ha sempre posseduto e ancora possiede la mia mente è quello relativo a quando mio nonno Bruno Lanciano mi portava a passeggio lungo l’allora non tanto transitata statale 106, poco fuori dalla siepe di melograni del casello ferroviario di Kardara, tenendomi per mano. Lui aveva nell’altra mano il bastone della sua lenta vecchiaia. Nonno aveva allora 83 anni passati essendo nato l’11 aprile 1869, poiché tali immagini appartengono sicuramente all’estate 1952, essendo io seminudo in questo lontano ma mai sbiadito ricordo. Nonno Bruno sarebbe morto da lì ad alcune settimane, il 24 settembre 1952, dopo tre giorni di agonia per un improvviso ictus cerebrale (caratteristica di gran parte di noi Lanciano). Ricordo altresì il momento in cui mi dava delle caramelle (non so dire se tale gesto appartenga al momento stesso della passeggiata). Fin da queste prime immagini entrate nella mia memoria di bimbo, ho avuto coscienza (in quella età di 2 anni) che mio nonno Bruno e tutte le altre persone (che non fossero i miei genitori e i miei fratelli e le mie sorelle) appartenevano ad un altro luogo, dal momento che non vivevano lì a Kardàra con noi. Non ho conosciuto i nonni materni Menniti, morti prima della mia nascita. I nonni Lanciano, gli zii e i cugini da parte di mio padre e di mia madre erano soliti venire spesso al casello a farci visita. Ma poi tornavano alle loro case e non sapevo, all’inizio, dove abitassero. Poi, come ho raccontato in premessa, ho scoperto che questo luogo era il Paese sulla collina il giorno in cui mi ci hanno portato per la prima volta i miei genitori (quando avevo attorno ai 4 anni). Quindi, il primo ricordo-contatto con una persona del “Paese” fu questo nonno Bruno. E, a dire il vero, sono assai lieto che il primo ricordo in assoluto e il primo ricordo-legàme con il Paese sia stato il padre di mio padre … un legame intergenerazionale per me assai significativo. Chissà che il seme, il sentimento e l’idea delle generazioni (che mi porto ancora appresso, esaltandole nell’Università delle Generazioni) non siano partiti proprio da questo primo contatto!

ANNO 1953

18 - badolato di f. varano 08.12.2015 bambino con stendardo salita immacolataDi questo anno comincio ad avere vari ricordi. Però, quello che mi lega a Badolato Paese è uno soltanto e riguarda due giovanissime sorelle contadine che avevano la campagna a poche centinaia di metri dal casello dove abitavamo. Essendo più o meno coetanee delle mie sorelle, entrambe erano quasi sempre da noi (nei giorni in cui ovviamente erano scese dal Paese a lavorare la terra assieme ai loro genitori, il che avveniva per la maggior parte dell’anno). Ricordo che giocavano a strapparmi dalle braccia di mia madre o delle mie sorelle quasi in una affettuosa e divertita contesa, dicendo che l’una e non l’altra era la mia fidanzata. E così mi riempivano di baci e di abbracci e mi roteavano con un’allegria giocosa così felice che quei momenti porto preziosissimi nel mio animo e nella mia mente ancora adesso. Evidentemente ero partecipe in qualche modo di quella maliziosa rivalità, poiché ricordo che mi facevano ridere a crepapelle. Era, questo, un gioco che ho poi visto fare, a Badolato e ad altrove, per altri bambini sotto i cinque anni. Nell’immagine della “contesa” tra queste due sorelle (poi emigrate negli Stati Uniti) c’è una parte del mio “destino” (se così si può dire, giusto per dare l’idea). Infatti, sono sempre stato “conteso” tra “opposte” persone, gruppi e situazioni … però sono sempre riuscito a restare me stesso, sempre e comunque equidistante da tutti e da tutto … a tutto e a tutti appartenente come umanità e significato esistenziale (non affatto nel senso di “tra bene e male”). La contesa mi è del tutto esterna ed estranea. Resto universalista.

ANNO 1954

19 - badolato di f. varano 08.12.2015 immacolata salita jusuterraCome dicevo in premessa, non ricordo l’anno esatto in cui avvenne il mio primo incontro con il Paese. Ricordo che potevo avere, appunto, attorno ai 4 anni. Perciò, mettiamo che fosse il 1954, dal momento che sostanzialmente non cambia niente anche se fosse stato il 1953 o il 1955. Infatti, sicuramente i miei genitori mi avranno portato in Paese fin da neonato, ma la mia memoria mi riporta all’episodio già raccontato nella lettera n. 1. La sensazione che quel paese sulla collina fosse magico ed incantato non appartiene soltanto alla mia infanzia e non è questione di percepirlo come un luogo delle favole. Infatti, ho notato che parecchie persone che lo vedono per la prima volta, hanno espressioni ed esclamazioni tipiche di chi scopre una inattesa meraviglia, una magia e s’incanta di fronte a quel grappolo di case tutte abbracciate come se lì ci abitassero le fate. A riprova di ciò, alla fine di questa lettera riporto il testo di un visitatore che ha scritto “Badolato borgo incantato” così, continuando a fare una doppia operazione culturale, ti propongo questo testo assieme alle foto che Francesca Varano (che non conosco) ha realizzato a Badolato borgo durante le recenti processioni di Santa Caterina d’Alessandria (25 novembre) e dell’Immacolata (8 dicembre).

ANNO 1955

20 - badolato di f. varano 08.12.2015 processione immacolata jusuterraCon i miei cinque anni comincio a ricordare più situazioni ed episodi legati alla “Gente di Kardàra” costituita da operai e contadini provenienti dal Paese ma anche da ferrovieri, cantonieri della strada, frequentatori vari o persone di passaggio. Ricordo, in particolare, quando i contadini ammassavano le pesche allo “scaru” (scalo) che era situato proprio a 30 metri dal casello, sotto alcuni ulivi e a fianco alla grande siepe degli alberi di melograni che facevano da recinto al casello su tre lati (escluso quello al confine con i binari della ferrovia). Il ricordo di quegli alti cumuli di pesche è ancora vivo, non soltanto per il profumo che tutte quelle pesche emanavano e che costituisce ancora una delle delizie della mia infanzia, ma anche perché i contadini mi porgevano pesche da mangiare del tipo che la mia famiglia non aveva sui suoi campi: le pesche “marandello” (cioè lisce, senza peli) e le “portuse” (cioè che si aprivano facilmente con una leggera pressione di entrambe le mani). Tutte pesche succose e saporitissime. Un sapore che non riesco più a trovare, non soltanto perché è il sapore dell’infanzia, ma anche perché si è quasi del tutto persa quella qualità che era famosa in tante parti d’Italia dove veniva esportata con numerosi carichi di vagoni ferroviari e di camion, a cura di commercianti che provenivano anche da altre regioni.

ANNO 1956

21 - badolato di f. varano 08.12.2015 bambina in processione salita immacolataCome ho già detto, fin da bambino preferivo frequentare le persone adulte poiché ero sicuro che da loro potevo apprendere tante cose, dal momento che ero assetato di vita e di conoscenze. Così, preferivo andare a trovare i ferrovieri che lavoravano vicino al casello, ma principalmente andavo dai contadini del Paese che lavoravano le terre di Kardàra per parlare con loro e guardarli nel modo in cui zappavano o curavano gli orti ed i frutteti. Con i loro figli, specie se miei coetanei, mi limitavo ad andare nel vicinissimo mare a fare i bagni o a fare qualche gioco creativo con i pochi elementi che avevamo allora a disposizione oppure a vendere le pesche agli automobilisti. Ricordo che a volte giocavo pure con altri figli di ferrovieri reggini, come (ad esempio) i miei coetanei fratelli Pino e Mimmo Spanò, che abitavano al casello di Gallipari posto verso Isca Marina al km 323 della ferrovia, e ai fratelli Tripodi che abitavano nell’altro appartamentino del medesimo casello. Adesso questi miei amici d’infanzia abitano altrove. Proprio qualche settimana fa (dopo decenni che non ci vedevamo) mi ha contattato, con grande e reciproca emozione, Pino Spanò che vive a Reggio Calabria: ci unisce questa appartenenza ferroviaria e d’infanzia, oltre ad un comparaggio.

afghan-girl-pakistan-1984 PH by Steve McCurry in National GeographicMolti, come me, ricordano ancora la famosa nevicata del 1956 che è stata abbondante pure sulle nostre marine joniche. Ma per me il 1956 è l’anno in cui si è acceso il motore interiore dell’erotismo. Ad accenderlo è stata una contadina di circa 8 anni più grande di me. Una che frequentava il mio casello, a motivo delle mie sorelle. Mi portava spesso con sé sulle terre che lavorava lì vicino, tra ferrovia e mare, assieme alla sua famiglia. Era piena estate. Il sole picchiava sui filari della vigna di cui legava ai pali i tralci più lunghi e lei (che chiameremo Erotica) si era denudata più del solito a causa del caldo afoso. Erotica era la contadina con cui preferivo stare, perché era bellissima nella sua fresca e nitida adolescenza ed era dolcissima ed affettuosissima con me come con tutti. Una meraviglia di ragazza, davvero! Il suo viso aveva i colori delle pesche tipiche di Kardàra. E i frequenti baci che mi dava sul viso erano umidi e caldi… una umidità e un calore che divennero riferimenti e paradigmi per le mie future stagioni amorose.

centro missionario poa BADOLATO MARINA  1956-1958 documentoRicordo che tutto partì da una mia domanda: “Erotica, perché non hai uno “zito” (fidanzato) … sei tanto bella e brava, quando ti sposi?…”. Mi rispose facendomi discorsi da adulti. E ancora adesso non so come mai e perché faceva a me quei discorsi da grandi. Forse parlava più a se stessa che a me? … sarà stato forse il gran caldo che picchiava la testa e provocava emozioni strane? …. o forse …. Sì, mi fece discorsi da adulto, che io compresi ovviamente in minima parte, però erano discorsi tali che mi aprirono la mente ed il cuore in modo nuovo, ma anche mi accesero la fiamma del desiderio … quel desiderio di una donna quale può essere possibile in un bambino di sei anni come me. Tanto è che alla fine di quei suoi discorsi mi sentii indotto a chiederle di fare l’amore!… Cosa avrei potuto capire io a quella età di fare l’amore?… Mi limitai a dire cose ascoltate dagli adulti, i quali erano soliti parlare liberamente anche di argomenti sessuali in presenza di noi bambini, pensando che non capivamo niente a quella nostra tenerissima età … invece, pur non capendo tanti passaggi, registravamo quasi tutto nella nostra mente assorbente più di una spugna!

Ricordo che a quella mia proposta così “sfrontata” ed importante ma poco credibile (espressa però nei precisi termini dialettali usati dagli adulti e, quindi, inequivocabili), Erotica arrossì come mai l’avevo vista arrossire prima. Arrossì come se quella proposta, quell’invito l’avesse fatto davvero un adulto. Come se le avesse fatto un particolare effetto. Imbarazzata, arrossì tanto fortemente che non riuscì a dire nulla. Avvertii e lessi quella inusitata e nuovissima emozione. Mi prese per mano e di corsa mi immerse assieme a lei nelle prime onde del vicinissimo mare. E in quella occasione vidi ancora di più le sue nudità e le forme del suo corpo stupendo poiché, bagnandosi, la sua camicia bianca si era fatta pelle trasparente sottolineando i contorni delle sue fattezze perfette e giovanili, esuberanti e per me assai memorabili.

A quel tempo, al mare di Kardàra, le donne usavano fare il bagno con lunghe vesti, le quali una volta bagnate disegnavano minuziosamente i contorni del loro corpo e, se bianche, lasciavano intravedere tutto come se fossero completamente nude. A volte, le onde leggere facevano alzare quelle vesti lunghe e si potevano vedere pure i peli del pube!… A pensarci adesso forse quello era un segreto gioco malizioso poiché le donne non potevano non sapere che, immergendosi nell’acqua del mare in quel modo, si mostravano almeno un po’ (nonostante le vesti lunghe). Imparavo così, piano piano e in varie occasioni, quell’erotismo tipicamente contadino che mi è sempre piaciuto e che faceva parte di tutto un corredo ancestrale e ricco di naturalezza … corredo che è stato alla base della mia prima e più fondamentale formazione proveniente da persone non acculturate (cioè, non inquinate dalla scuola e dal potere, nemmeno dalla religione), analfabete o semi-analfabete e comunque dall’animo primitivo che è sempre garanzia di maggiore genuinità e autenticità rispetto a chi è acculturato o raffinato. Personalmente non ho mai perso questa mia base “kardaròta”. E ancora adesso sono assai orgoglioso e fiero di avere avuto una mamma che non sapeva leggere né scrivere, perché mi ha dato quei valori e quell’educazione provenienti dalla terra primordiale, dal popolo più popolo.

A proposito di donne e di mare di Kardàra, annoto che alcune anziane (o che a me, bambino, sembravano tali e magari non superavano i 40 anni) erano solite sotterrare completamente il corpo sotto la sabbia calda o rovente per tentare di guarire o alleviare reumatismi e malattie similari. Tale metodo delle “insabbiature” era usato anche da alcuni miei familiari che venivano apposta (come tante altre persone) da Badolato Superiore. C’erano pure degli uomini che usavano tale “sabbia-terapia” che poteva essere forse l’equivalente dei fanghi alle terme. La maggior parte di queste persone stavano lunghe ore ferme in quella posizione e difendevano la testa dal sole cocente con ombrelli o altri espedienti. Comunque sia, mi sono ispirato a quanto vedevo, a riguardo, ogni estate (e non soltanto a Kardàra) quando poi nel 1982, da bibliotecario comunale, proposi all’allora Amministrazione municipale (gestita dalla lista civica dell’Aratro) di realizzare uno Stabilimento Eliotalassoterapico cioè la medesima terapia del sole e del mare (sabbia e acqua) usata in stabilimenti turistico-termali-industriali del nord Italia (come, ad esempio, a Rimini dove si è recato apposta il medico condotto di Badolato, dottore Giuseppe Scuteri il quale in caso di realizzazione di tale stabilimento ne sarebbe stato designato sicuramente “direttore sanitario”). A lato del lungomare di Badolato Marina verso la spiaggia era stato lasciato libero dalle precedenti amministrazioni comunali comuniste un ampio spazio che sarebbe potuto servire proprio ad ospitare uno stabilimento balneare pubblico o, appunto, lo Stabilimento Eliotalassoterapico che, in forma ridotta, sarebbe stato poi realizzato da un albergo di Crotone proprio in quegli anni ottanta. Ho riproposto la realizzazione dello Stabilimento Eliotalassoterapico all’Amministrazione comunista del sindaco Ernesto Menniti quando ancora ero nuovamente bibliotecario nel giugno 1986 (poco prima della proposta del “paese in vendita”) e con un assessore sono andato a Roma per chiedere lumi ad un Istituto per lo Sviluppo del Mezzogiorno d’Italia. Purtroppo quell’Amministrazione, pur tiepidamente favorevole, non insistette nel progetto e così non se ne fece più nulla. Ritornando ad Erotica, pure quella immersione ebbe un qualcosa di erotico, anche perché nella corsa verso il mare, distante poco più di cinquanta metri, i miei piedi nudi non avvertirono minimamente la sabbia ardente. Erotica proveniva da Badolato Paese e dopo quell’episodio pensavo che a Badolato Paese abitassero le fate che facevano battere il cuore in modo strano anche ad un bambino. Da quel giorno la mente ed il cuore non furono più gli stessi e vedevo il mondo in un altro modo. Notavo, ad esempio, cose che prima non avevo notato e vedevo il mondo con altri occhi. Ero più attento alla bellezza delle donne, sia ragazze che adulte. Seguivo, in particolare, come camminavano e come si muovevano per ammirarne le fattezze e la plasticità dei loro corpi giovanili o maturi. Mi attardavo con lo sguardo sui loro volti e spesso fissavo i loro occhi come per leggere qualcosa che mi sfuggiva ma che mi attraeva irrinunciabilmente e mi affascinava enormemente. Probabilmente, dentro di me, sono nati allora i versi della poesia “La mia terra” quando dico “Fanciulle che l’età sognante riveste del pudore ereditato dalle madri”… e ancora “Donne dai capelli neri col volto pallido che conosce il dolore e la fatica”. In particolare, cercavo di vedere sul volto di tutte le donne di Kardàra la medesima appariscente bellezza e la stessa fiamma segreta che avevo visto in Erotica quella afosa mattina alla vigna. Era stata Erotica, aprendomi il suo cuore di donna che sogna l’amore coniugale, ad introdurmi nel segreto mondo delle donne … un mondo che ancora non finisce di stupirmi e di affascinarmi. E’ iniziato con Erotica questo viaggio ed io cominciavo ad interrogare gli occhi e gli atteggiamenti delle donne di Kardàra per indovinare se ardevano della stessa fiamma di colei che mi ha introdotto, a passi felpati e assai delicatamente, in quel mondo che ho saputo molti anni dopo essere ed avere quello stesso erotismo che (variegato e sempre attraente ed emozionante) dà sapore alla vita delle persone, dei popoli e del mondo intero!

Erotica di Kardàra fu quella prima emozione e quella prima attrazione. Infantile quanto si vuole, ma sufficiente a farmi cambiare la prospettiva e l’intelligenza (il leggere dentro) delle persone e della vita. In seguito (dai sette agli undici anni, non so quanto precocemente e mediamente sulle eguali esperienze dei miei coetanei), sempre con ragazze di Kardàra più grandi di me, avrei conosciuto le prime tenerezze d’amore, la sensazione della mia prima virilità e la prima seduzione sessuale. E tutto questo mi riportava a Badolato Paese come il luogo delle meraviglie. Da Badolato Paese provenivano quelle persone che mi aprivano alla Wita e, quindi, Badolato Paese percepivo e intuivo (pur con le dovute proporzioni dell’infanzia) come un luogo d’amore e di conoscenza. Insomma un paese, un luogo, una comunità, un insieme assai importante per me. Tra le tante suggestioni ed emozioni, ma anche riflessioni e qualche insegnamento prezioso per la mia vita futura (anche amorosa), l’episodio vissuto con Erotica mi fece intuire che l’elogio, le lusinghe, le lodi, gli apprezzamenti, i complimenti spinti fino all’adulazione, alla retorica e all’esaltazione anche scherzosa (a seconda del tipo più o meno vanitoso che si ha davanti) possono essere utili per compiacere o rabbonire le persone (sia maschi sia femmine) e trarne un qualche beneficio o vantaggio. A tutti noi, in verità, piacciono i complimenti, i riconoscimenti e gli apprezzamenti anche quando sappiamo esagerati o non meritati interamente. Specialmente le donne (non tutte, ovvio) sono sensibili alle più sperticate lusinghe e alle adulazioni. L’esperienza (fin qui acquisita) mi ha confermato che (pur non avendo una particolare bellezza o attrazione o speciale fascino o sex-appeal) un qualsiasi uomo che sappia bene adulare ha molte probabilità di sedurre una qualsiasi donna. Confesso che, se non avessi avuto fin da bambino degli ideali etici a favore del mio popolo, molto probabilmente avrei aperto un “Ufficio Adulazioni” per qualsiasi uso lecito e non servile. A volte ancora adesso uso (forse eccessivamente, mi rimprovera qualcuno) le lodi sperticate, spesso a fin di bene e di incoraggiamento, esaltando opere ed atteggiamenti altrui allo scopo di trarre da qualsiasi persona il meglio. I risultati mi rendono ragione. E le persone, così beneficiate, mi riconoscono che le ho tirate su. Talune mi ringraziano ancora per il merito (secondo loro) di aver trovato nelle mie parole di lode un atteggiamento positivo alla vita su cui poi queste persone si sono basate per costruire qualcosa di buono. Un esempio in particolare di cui sono ancora contento. Una anziana donna altomolisana curava da anni il marito assai malato. Non avendo figli o parenti stretti che potessero aiutarla, era costretta a seguire il marito nei frequenti lunghi ricoveri ospedalieri fuori provincia e, spesso, si sentiva scoraggiata e stressata da tutta questa continua assistenza al coniuge. Allora, per incoraggiarla ho scritto un articolo per un settimanale assai diffuso in regione esaltando questa sua opera di sostegno al marito malato, definendola semplicemente “donna speciale”. Questo articolo e i complimenti ricevuti da chi lo aveva letto hanno fatto risorgere questa anziana donna la quale aveva tratto nuove risorse ed incoraggiamento da quel mio pubblico apprezzamento. E ogni volta che mi incontrava non finiva di ringraziarmi per il bene ricevuto.

Nel caso di Erotica, le mie sincere lodi di amico-bambino per la sua bellezza e bravura l’hanno fatta sciogliere fino al punto da aprire il suo animo (anche quello erotico) di giovane donna non tanto apprezzata dai suoi familiari, specialmente dai genitori che la rimproveravano continuamente, la facevano lavorare molto e, gelosissimi come erano, non la facevano avvicinare da alcun ragazzo (pure perché allora si usava passare prima dai genitori per chiedere in sposa una ragazza cui non si poteva parlare direttamente di queste cose per non “disonorarla”). Sarà che ha sentito il bisogno di sfogarsi con me, di confidarsi oppure sarà stato che l’ho colta in un particolare momento di depressione o di tristezza … fatto sta che Erotica mi ha mostrato la parte più segreta di sé, nell’anima e nel corpo, sentendosi capìta e apprezzata da qualcuno, anche se questo qualcuno era appena appena un bambino di 6 anni (un’età, comunque, innocente ma maliziosa perché tendente, a modo suo, alla scoperta dell’Eros primordiale). Le lodi fatte, dall’adolescenza in poi, a ragazzi e ragazze mi hanno permesso di diventare loro “confidente” (specialmente in affari di cuore) affidandomi i loro diari segreti e i loro componimenti poetici. Alcuni di questi ho trascritti per documentare a beneficio delle future generazioni quale era la situazione interiore degli adolescenti negli anni sessanta e settanta. Il tutto è conservato nei miei “bauli d’Iter” (cioè la mia eredità sociale). Spesso, nel caso delle ragazze, le confidenze sentimentali erano il preludio o una scusa da parte loro per camuffare o adornare bellamente una approccio sessuale o soltanto manifestare un grande bisogno di affetto e dicomprensione. Ma l’anno 1956 ha significato per me pure l’ingresso ufficiale nella nuova comunità organizzata di Badolato Marina. Infatti, mercoledì 14 marzo 1956, veniva consacrata ed aperta ai fedeli la nuova chiesa di questo nuovo paese, dedicata ai Santissimi Angeli Custodi. Come tanti altri bambini della mia età e soprattutto di età superiore fino ai 14-15 anni, anche io sono entrato a fare parte fin dall’inizio del folto gruppo dei chierichetti (cioè chi, vestito di caratteristica tonaca nera sovrastata dalla “cotta” bianca, serve messa e si rende utile ai sacerdoti durante le funzioni religiose e le processioni).

Furono mandati a curare le nostre anime due sacerdoti francescani, padre Gabriele Maria Barzi e padre Silvano Maria Lanaro, l’uno veneto, l’altro trentino. Il primo destinato a rimanere per circa tre anni, l’altro fino all’estate del 1982. Tale chiesa fu immediatamente un riferimento per quasi tutti gli abitanti della Marina, provenienti in maggioranza dalla situazione di senza-tetto dopo le alluvioni del 1951-53. Ci voleva un centro neutro di aggregazione, poiché non tutti erano comunisti così da poter frequentare l’unica sezione di partito presente nel nuovo paese. E la chiesa (con gli ampi locali dell’annessa canonica) sembrava essere un terreno “neutro” dove potevano andare tutti (fatta eccezione per gli evangelici protestanti che si tenevano lontani). La popolazione dei neo-marinòti non fu mai più festosamente e affettuosamente unita come quei primi anni (diciamo 1956-60). Vista la novità assoluta, per un po’ mi discostai dalla mia Kardàra trovando più interessante ed eccitante questa esperienza che avrei potuto vivere con maggiori conoscenze ed emozioni sociali. Tra l’altro, il Centro Missionario POA (come c’era scritto alla porta del convento francescano attaccato alla chiesa, nei manifesti, nei volantini e nella carte intestate delle lettere) dispensava alla popolazione gli aiuti di quelle che poi avrei appreso essere stato il “Piano Marshall” americano, che per noi bambini significava avere “gallette” (biscotti duri, a volte anche con la marmellata) e qualche tazza di latte e cioccolata (sempre a condizione di aver frequentato le funzioni religiose o il catechismo). Tale condizione (io ti do se tu fai… il ben noto “do ut des” dei latini) non ci sembrava giusta pur al nostro sentire di bambini, ma … i biscotti e una tazza calda di cacao (con o senza latte) era un’irresistibile attrazione, in quei tempi di grande povertà e miseria economica.

Un’altra cosa un po’ stridente ho avvertito quando, nelle prediche o al catechismo, ci veniva detto che bisognava aiutare le “Missioni” quasi sempre legate all’Africa povera. E allora perché alla porta della casa dei padri francescani, attaccata alla chiesa, c’era scritto “Centro Missionario POA” (poi ho saputo che POA significava Pontificia Opera Assistenza)?… Ci rimanevo male che il mio paese era considerato “Missione” come l’Africa! Come evidenzio nelle prime pagine del libro “Prima del Silenzio” in quegli anni di frequenza di Badolato Marina si sono moltiplicati a dismisura nella mia mente i timidi interrogativi nati tra la “Gente di Kardàra”. Gli interrogativi, da allora, sono sempre stati tanti, in continuo crescendo in numero e qualità. Tanti che hanno contribuito a farmi poi scegliere gli studi universitari di Filosofia. Altra cosa importante che ha dato spunti e frutti futuri è stata la frequenza dei paesi vicini, sia tramite questi frati francescani e sia, poco dopo, assieme a mio fratello Vincenzo, divenuto ufficiale giudiziario della locale Pretura. Infatti, nel 1956, quasi in contemporanea alla chiesa di Badolato Marina, furono aperte al culto le chiese delle altre nuove Marine vicine, cioè verso sud, lungo la statale 106 jonica, Santa Caterina, Guardavalle e Monasterace, mentre verso nord quelle di Isca e di Sant’Andrea. Per mancanza di sacerdoti o per altri motivi, i due frati francescani di Badolato Marina si trovavano “costretti” ad andare a dire messa (almeno la domenica) o ad assicurare altre funzioni (funerali, matrimoni, battesimi, ecc.) in queste chiese dell’interzona. E’ nato proprio allora il termine “interzona” per significare che Badolato Marina era il centro di influenza e di coordinamento su queste 5 nuove frazioni dei paesi collinari.

E, a proposito di interzona, dico di un’altra esperienza (che poi mi è servita nel 1972 per la idea-progetto-proposta della “Riviera degli Angeli”) vissuta annualmente per iniziativa dei frati francescani e della parrocchia. Infatti a giugno, alla fine di ogni anno scolastico, tutti noi chierichetti, tutti coloro che partecipavano assiduamente al catechismo e alle funzioni religiose, venivamo “premiati” con una gita sempre assai gradita (anche se era ogni volta la stessa) sulle nostre montagne delle Serre, per raggiungere le quali l’autobus doveva fare il giro lungo, passando per Soverato, Chiaravalle con sosta al santuario di Torre Ruggero, poi colazione a sacco nel bosco della Certosa, quindi la Fonte di Mangiatorella, il santuario di Monte Stella (ultima tappa) dopo di che si faceva ritorno a casa. Ho cominciato così a conoscere i luoghi ed i paesi delle montagne delle Serre, alcune delle quali confinano con la montagna di Badolato. Cosa che ho tenuto presente nel 1972 per fare la proposta del Consorzio Turistico della Riviera degli Angeli, nel 1982 per un servizio di autobus (autolinee badolatesi Bressi) Serra San Bruno – Badolato Marina (via Brognaturo – Elce della Vecchia) per un utile rapporto mare-collina-montagna e viceversa. Sempre nel 1982 ho cercato invano di proporre la Maratona podistica dalle Serre al Mare Jonio proprio dalla Certosa di Serra San Bruno al lungomare di Badolato Marina.

Nel 1956, noi chierichetti, a turni di uno o due, andavamo in motoretta o in automobile, guidata dal sacerdote disponibile, a servire messa o altri riti nelle chiese di queste nuove Marine. Poi, con il passare del tempo, la maggior parte dei chierichetti si annoiavano e, in pratica, rimasi quasi da solo ad andare in giro per paesi … io non mi annoiavo poiché trovavo sempre cose e persone interessanti da vedere e conoscere. Così, tra tanto altro, potevo fare il raffronto con il mio paese, sia Marina che Superiore. Infatti, a volte, per sostituire un sacerdote, uno dei frati andava a dire messa anche in qualche centro collinare vicino. Inoltre, negli anni seguenti 1957-62, ho frequentato spesso Santa Caterina dello Jonio Superiore a motivo dei fidanzamenti che mio fratello Vincenzo aveva fatto con Giulia Carnovale (poi divenuta sua moglie) e del fidanzamento che legava mia sorella Rosa con Domenico Lazzaro, il cui fratello minore Mariano è diventato mio grande amico.

ANNO 1957

Badolato Marina era già nata ufficialmente il 24 marzo 1952 con il “battesimo” del capo del governo italiano De Gasperi. Ma le mie iniziali esperienze in questo nuovo paese non erano state positive. Già, come ho avuto modo di raccontare, la prima istituzione pubblica (cioè l’asilo o scuola materna) era stata violenta con me e con gli altri miei compagni di sventura. Per fortuna che, poi, alla prima elementare (anno scolastico ottobre 1956 – maggio 1957) mi è capitata una giovanissima insegnante di Soverato, bellissima (sembrava una fata) e assai brava ed affettuosa con tutti e con me in particolare. Ero il suo preferito. Mi portava dolci, libri di favole e racconti adatti alla mia età. Mi prendeva sempre in braccio proprio come facevano le sorelle contadine di Kardàra che mi si contendevano come loro “fidanzato”. Le volevo tanto bene che quasi ogni mattina l’andavo a prendere alla stazione dei treni. Peccato che, poi in seconda classe, venne una maestra brava ma troppo facile a dare bacchettate. Forse, inconsapevolmente, sarà nato allora in prima classe, con la bellissima e bravissima e dolcissima maestra, il seme di quella convinzione che coltivo ancora adesso e che chiamo “compensazione” … il male è compensato dal bene e viceversa … cioè, chi ha ricevuto il male avrà, prima o poi, altrettanto bene e gratificazione (almeno interiore) … quasi per bilanciare l’esistenza la quale, altrimenti, sarebbe invivibile.

Questa maestra di prima elementare era, quasi miracolosamente, l’esatto contrario della maestra violenta dell’asilo. Quei nove mesi di scuola furono tra i più felici della mia vita. Il mio ingresso nella scuola elementare si svolse dentro un evento assai significativo: si inaugurava, il primo ottobre 1956, proprio con la mia classe, l’edificio scolastico appena costruito, sito in quella che poi venne denominata Via Giuseppe Garibaldi. Negli anni precedenti, nella Marina di Badolato poi diventata Badolato Marina, la scuola era stata ospitata (come l’asilo infantile) in locali di fortuna.

L’anno 1957 significò per me pure la frequenza della locale Pretura, sita al centro del nuovo paese, a lato della stessa piazza della chiesa di Badolato Marina. Mio fratello Vincenzo aveva appena iniziato a lavorare lì come “Ufficiale Giudiziario” e spesso mi portava con sé nel suo ufficio e (a bordo della sua Vespa) nei paesi vicini di Isca, Santa Caterina e Guardavalle che facevano parte del “Mandamento di Badolato”. Il mio orizzonte si ampliava notevolmente, anche perché sia questo mio fratello Vincenzo che mio fratello Antonio mi portavano ai due cinema di Soverato o ai due di Catanzaro Lido a vedere i film che piacevano a loro ma che ritenevo importanti e piacevoli pure per me. In particolare, avevo la possibilità di fare un confronto tra questi paesi e il mio (sia come Badolato Superiore che come Badolato Marina) … cosa che approfondirò, durante gli anni della scuola media, facendo da solo escursioni per i paesi collinari tra Riace e Catanzaro Lido con la bicicletta di mio padre. Ma dirò di più a momento opportuno.

Una cosa univa i quattro paesi del Mandamento: la sofferenza della gente, dei lavoratori. Già vedevo a Kardàra la troppo precaria condizione dei contadini e degli operai. Già vedevo come soffrivano i ferrovieri e, in particolare, mio padre che proprio allora aveva avuto un grave infortunio sul lavoro che lo ha costretto a numerose peripezie sanitarie, da ospedale in ospedale anche nel nord Italia, per oltre un anno. Vedere la miseria e la povertà del mio popolo (cioè del mio paese) e degli altri paesi vicini è stata una grande sofferenza, alleviata dalla grande umanità che trovavo nelle persone più umili. Invece, cominciavo a non apprezzare le persone ricche, specialmente quelle che si davano un tono troppo alto e distante rispetto al resto della popolazione come alcuni responsabili delle istituzioni. Ne ebbi io stesso un significativo esempio. Te lo descrivo immediatamente.

In Badolato Marina le scuole sono nate “miste” (cioè frequentate da maschietti e femminucce) fin dall’asilo. In prima elementare, capitai accanto al banco dove era seduta una graziosa bambina dalla pelle chiara, molto bene educata, vestita e nutrita. Qui la chiameremo Lorella. Era l’unica che, visibilmente, apparteneva ad un ceto superiore, mentre noi altri eravamo quasi tutti figli di operai e di contadini, di pastori e di braccianti. Poiché io e lei eravamo i primi della classe, ci trovavamo spesso a collaborare in aula, mentre fuori dalla scuola non ci vedevamo mai, poiché lei non frequentava i nostri ambienti popolari, ma soltanto per venire alla messa domenicale con la sua famiglia. Lorella era figlia di un pezzo grosso delle istituzioni, la qual cosa incuteva un certo timore e una qualche riverenza nel resto degli alunni, ma non a me dal momento che “lavoravamo” quasi sempre insieme.

Nella seconda elementare ci ritrovammo seduti ancora vicini e sempre più collaborativi. L’insegnante ci assegnava compiti da fare insieme pure per aiutare chi, per un motivo o per un altro, stava indietro nell’apprendimento. C’erano tra me e lei molta simpatia e grande intesa nelle cose da fare scolasticamente, specialmente nei disegni colorati che erano i nostri preferiti. Ci piaceva stare sempre insieme, pure perché ci raccontavamo dei nostri due mondi troppo diversi e distanti (forse era l’attrazione degli opposti pure dal momento che io scorazzavo libero e lei non usciva quasi mai da casa). Di solito, nei minuti di ricreazione (dentro e fuori la classe) a Lorella piaceva stare, molto innocentemente, seduta sulle mie ginocchia per continuare a raccontarci le cose vissute fuori dalla scuola e facevamo a gara a chi inventava le favole più belle. A volte ci abbracciavamo, sempre tanto innocentemente.

Questi abbracci avvenivano più volte e i compagni di scuola ci consideravano “fidanzatini”. Sta di fatto che dovetti andare davanti al padre (nel suo severo ufficio istituzionale) a chiedere scusa e a promettere che non avrei mai più tenuto la figlia sulle mie gambe. Chi aveva detto una cosa del genere (roba di bambini “innocenti” di appena 7 anni) al pezzo grosso delle istituzioni?… Probabilmente la vile spiata fu opera di qualche compagno di classe. Dico questo unicamente perché ancora una volta le cosiddette Istituzioni mi usavano violenza, come già all’asilo. Un conto è andare a chiedere scusa a casa o in altro luogo, un conto è andare al suo ufficio, facendomi di più tremare le gambe e lo stomaco. Ma chiedere scusa di cosa?… Quasi sicuramente il padre stesso avrà sorriso nell’apprendere una simile inopportuna osservazione (o calunnia?) su bambini di seconda elementare … però non avrebbe dovuto convocarmi alla sua importante e solenne scrivania in un luogo serio ed istituzionale, quasi in forma ufficiale, dopo aver preteso pure che fossi accompagnato da un mio familiare adulto!…

Quella subìta all’asilo e questa dell’uomo delle istituzioni sono soltanto due delle tante violenze che ho subìto, tra le più traumatiche (tanto è che ne parlo ancora adesso, a distanza di 60 anni). Ma devo dire che, allora, noi bambini eravamo oggetto di violenze fisiche e psicologiche quotidiane, più o meno gravi, da parte di adulti o di ragazzi che praticavano il bullismo.

Cosicché, la prima parte della mia infanzia tra i 3 e i 7 anni ha subìto la violenza di rappresentanti delle Istituzioni, verso le quali – come si può immaginare – cominciavo ad avere forti perplessità ed irritazioni già da bambino. Come accennavo prima, quelli erano proprio anni in cui cominciavano a nascere tanti interrogativi, tanti “perché?” come a quasi tutti i bambini. Però, i miei perché, i miei interrogativi cominciavano a moltiplicarsi, in quantità e qualità, davvero a dismisura, caratterizzando e condizionando tutto il resto della mia esistenza personale e sociale. Così, mentre Badolato Marina cominciava ad essere la sede delle istituzioni malvagie e violente, la mia Kardàra (proiezione di Badolato Superiore) continuava ad essere la mia “isola felice” … il luogo dove mi sentivo crescere assai amato e dove con delicatezza venivo introdotto (dalle persone adulte che mi volevano bene) nelle più belle ed importanti scoperte della vita. Kardàra era il luogo della mia Armonia!… E Kardàra significava persone provenienti dal Paese collinare, dove d’altra parte, abitavano quasi tutti i miei zii e i miei cugini (anche se un fratello e una sorella di mio padre erano poi scesi ad abitare con le famiglie in alloggi popolari riservati agli alluvionati). Pure la loro presenza è stata assai importante per me!

Personalmente ero in una perfetta Armonia, nonostante un fatto assai spiacevole che qui sarebbe troppo lungo raccontare, ma che ho subìto molto traumaticamente. Tale fatto, governato da alcuni adulti, mi ha portato a disprezzare il denaro da allora e, comunque, a non avere più con il denaro un rapporto normale, preferendo non averne affatto e, pur avendolo, a non saperlo gestire bene dal momento che lo detestavo. Principalmente a motivo di ciò, oltre che per convinzione religiosa cristiana e poi per convinzione filosofica-umanitaria, ho preferito e preferisco una sorta di “povertà” generosa … nel senso che (grazie pure all’esempio genitoriale e di alcuni miei avi da parte di entrambi i miei genitori) ero e sono assai intriso di “condivisione” e, spesso esageratamente, di vera e propria filantropia (e persino di “mecenatismo”). Annoto questo fatto, per illuminare i miei anni successivi, tutti caratterizzati da una tensione morale e civile volta all’altruismo più sfrenato. Inoltre, quando amo affronto con determinazione qualsiasi sacrificio, anche economico. Bisogna tenere ben presente ciò nella vicenda del “paese in vendita” poiché è fondamentale. Anzi, più che fondamentale, decisivo. Il denaro non ha mai avuto alcuna importanza per me!

Una piccola annotazione che ha potuto avere una qualche influenza sulla mia futura formazione meridionalista. Nell’agosto 1957 mio padre si decise a portarmi all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna per farmi togliere tonsille e adenoidi che da anni mi facevano venire forti e lunghe febbri e lui non ne poteva più di riempirmi di penicillina. Quei quindici giorni furono per me assai importanti per essere venuto a contatto con un altro tipo di mentalità e società, sicuramente più efficiente e tecnicamente più evoluta. Sono cominciate, così, le mie prime riflessioni tra Nord e Sud Italia, in seguito proseguite e approfondite con interessanti letture ed esperienze a riguardo, pure sulla mai risolta “questione meridionale”.

ANNO 1958

Per frequentare l’anno scolastico 1958-59 (terza classe elementare) senza andare a piedi dal casello alla scuola per me (e dal casello alla stazione ferroviaria per due mie sorelle), mio padre e mia madre decisero di far stare (nell’appartamento dell’Ina-casa acquistato due anni prima in Badolato Marina) me, mia sorella Concetta (che frequentava la scuola dalle suore salesiane di Soverato), mia sorella Vittoria, appena diplomata e impegnata a viaggiare per supplenze e corsi di aggiornamento che le fornivano un minimo di punteggio. Per me era anche un modo per giocare con i miei compagni di classe e di scuola che solitamente non vedevo mai nei pomeriggi quando abitavo al casello. Fu una immersione nell’amicizia e nella socializzazione, dal momento che le mie uniche amicizie tra coetanei erano soltanto quelle di Kardàra e soltanto per i quattro mesi estivi da giugno a settembre). Invece, adesso, avevo coetanei e compagni di classe con cui giocare o a volte fare pure i compiti scolastici. Inoltre, avevo più possibilità di fare il chierichetto e, cosa assai importante, ascoltare la radio che mio padre aveva acquistato da poco, assieme al frigorifero, da un vicino di casa che vendeva i primi elettrodomestici della Marina, Vincenzo Spagnolo (proprio colui che mi diede assai gentilmente, nel 1982, una ventina di copie delle cartoline – realizzate da don Peppino Sgrò – raffigurante una processione di Badolato Superiore durante la Settimana Santa del 1940 e che ho distribuito a varie Istituzioni e Biblioteche tra cui alla Comunale di Agnone).

Probabilmente l’esperienza complessiva non fu delle migliori se, poi, l’anno scolastico seguente ritornai al casello di Kardàra, “costretto” a raggiungere a piedi (qualche volta con l’automobile di mio fratello Vincenzo) la scuola elementare (e, in seguito, la stazione quando si trattò nell’ottobre 1961 di andare a Catanzaro Lido per frequentare le Medie).

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Nel tempo libero dai compiti e dalla scuola, continuavo a frequentare con mio fratello Vincenzo sia la Pretura che i paesi del Mandamento, accumulando esperienze su esperienze, tante e tali da portarmi poi, nella vita, a stare dalla parte dei poveri e di coloro che subivano ingiustizie, rafforzando l’amore per le persone umili e per i lavoratori come la mia “Gente di Kardàra”.

Poi ci fu un episodio assai grave che mi indusse ad essere diffidente e a cominciare a tenere mentalmente e sentimentalmente le distanze da tutto e da tutti. In occasione della campagna elettorale per la rielezione del Parlamento italiano (Senato e Camera dei Deputati) del 25 maggio 1958, il clima politico era assai teso sia a livello nazionale che locale. A Badolato, il Partito Comunista era dal 1946 il primo, distanziando solitamente di quasi la metà dei voti l’unico concorrente che era il partito della Democrazia Cristiana. Ricondo bene che allora, frequentando quasi assiduamente la chiesa da chierichetto, padre Gabriele M. Barzi si intrometteva in questa rovente campagna elettorale, sia dal pulpito o dall’altare durante le funzioni religiose sia addirittura in piazza. In uno di questi interventi (che ho ancora ben nitido davanti agli occhi), forse per troppa irruenza, disse parole poco gentili (diciamo così) verso i Comunisti. Personalmente rimasi molto male perché (come ho scritto in altri miei libri) i Comunisti che conoscevo (compresi mio padre ed altri familiari, tutti i miei zii con le loro famiglie e alcuni compari ed amici) erano bravissime persone, grandi lavoratori e gente che faceva enormi sacrifici per sopravvivere, vivendo generalmente in povertà, quando non in miseria. E non sapevo ancora, in quel 1958, dei lavoratori uccisi dall’inopportuno uso della polizia durante le lotte contadine, pure in Calabria!

Questa “aggressione verbale” da parte di un sacerdote, di un uomo di chiesa e, per giunta, un francescano suscitò indignazione anche fuori Badolato. Probabilmente fu per tale atteggiamento che questo frate venne trasferito, dal momento che l’altro frate venuto a Badolato Marina con lui nel marzo 1956, cioè padre Silvano M. Lanaro, c’è rimasto tranquillamente assai amato per 26 lunghi e proficui anni, fino all’estate 1982. Già ero rimasto “istituzionalmente” scosso per la violenza manesca delle maestre alla scuola materna (e dalla violenza psicologica del padre di Lorella, uomo delle istituzioni), cosicché da allora cominciai a diffidare di chiunque, specialmente di coloro i quali, dentro le istituzioni laiche e religiose, avrebbero dovuto dirci la verità e formarci ai migliori sentimenti umani, ideali cristiani e atteggiamenti sociali ed invece disattendevano al loro compito “istituzionale” o “vocazionale” quando non peggioravano situazioni personali e sociali con i loro intrighi e cattivi comportamenti. Pure oggi ci sono ampi settori ecclesiastici che danno “scandalo”!

Ciò non toglie che padre Gabriele Barzi fosse bravissimo come aggregatore sociale e come frate. Ricordo che lui e padre Silvano sono riusciti a riunire, nelle attività parrocchiali, davvero tutti (anche i comunisti). Furono epici quei primi anni della Marina nell’unità popolare ed interclassista!… Un vero miracolo!… Si respirava entusiasmo collaborazione, armonia … e, proprio per tale motivo, quell’aggressione verbale fu un trauma per tutti. Non ricordo le parole esatte che usò padre Gabriele durante quella campagna elettorale del 1958 e se pure lui disse, come tanti altri sacerdoti-militanti della Democrazia Cristiana di allora, che i Comunisti (della Unione Sovietica, ovviamente) mangiavano i bambini e compivano tante nefandezze. Probabilmente, l’energico padre Gabriele, visti i meravigliosi risultati sociali ottenuti da lui e da Padre Silvano, avrebbe potuto essere più prudente e astenersi dalla crociata politica, badando maggiormente a tenere unita la comunità e non dividerla come ha fatto.

Padre Silvano Lanaro, invece, è riuscito a conquistare il cuore dei badolatesi (e degli altri paesi, specialmente delle Marine) perché era più accomodante e più vicino alla gente (forse pure a motivo delle sue umili origini contadine, oltre che per il proprio carattere). Si era guadagnata tanta ammirazione pure per il fatto che era riuscito (con l’aiuto di alcuni suoi amici benefattori lombardi) a portare negli ampi locali della canonica il primo apparecchio televisivo di Badolato Marina, davanti al quale stavamo incollati prima noi bambini nel pomeriggio (per vedere la “Tv dei Ragazzi”) e poi, di sera, gli adulti per seguire il Telegiornale e quindi i programmi di grande intrattenimento e successo come “Lascia o Raddoppia” (trasmissione rimasta celebre e storica pure per come condotta da Mike Bongiorno). Ogni telespettatore portava con sé la proprio sedia e si accomodava davanti alla televisione dopo aver dato ai frati un contributo di dieci lire (l’equivalente di un cono-gelato o del costo di un giornale quotidiano in edicola). Ciò avveniva allora in quasi tutti i paesi italiani (pure qui in Molise). Dopo qualche mese, entrò un apparecchio televisivo pure nella Sezione del Partito Comunista (dove egualmente bisognava pagare le dieci lire) e tale evento contribuì a suddividere per aree di interesse socio-politico-culturale la comunità di Badolato Marina che aveva vissuto momenti davvero esaltanti di unità di intenti attorno alle primissime attività della chiesa.

ANNO 1959

L’apparecchio televisivo (o “televisione” comunemente detta) fu il vero protagonista sociale di questi anni cinquanta, non soltanto a Badolato Marina. Dopo i frati francescani e la sezione comunista, si dotarono di tale attrattiva pure i due bar allora esistenti. Ma, piano piano, pure le famiglie più benestanti acquistarono la televisione, generalmente da 17 o da 21 pollici, dando la possibilità ai vicini di casa, a parenti e ad amici di poterla vedere, spesso fino al termine dei programmi tanto era nuova ed interessante curiosità.

La mia famiglia abitava ancora al casello ferroviario, distante dalla Marina oltre un chilometro, quando non c’era ancora l’illuminazione pubblica e noi non avevano l’energia elettrica che c’era però nel nostro alloggio dell’Ina-casa (sita all’estrema periferia del paese), dove comunque avevamo la radio, accesa quasi ogni sera da mio padre per ascoltare il “comunicato” cioè il “giornale radio” delle ore 19. Dopo aver fatto i compiti, correvo letteralmente dal casello alla Marina per poter vedere (in qualche casa amica o alla canonica oppure alla sezione comunista) la “TV dei Ragazzi”. Poi, spesso, con mio padre, ascoltavo la radio e insieme tornavano con la bicicletta al casello che era buio.

Spesso, curioso come ero del mondo offerto dalla televisione, mi attardavo a vedere qualche programma più interessante o attraente e, quindi, non riuscivo ad agganciare mio padre all’appuntamento radio serale. Avevo paura del buio e pregavo qualche mio zio o zia di accompagnarmi al casello. Per castigarmi di questi eccessi, la mia famiglia mi negava la chiave dell’alloggio Ina-casa che avevamo in Marina e i miei zii non mi volevano accompagnare più, stufi di ricorrere sempre a loro (che già avevano trascorso una pesante giornata di lavoro) per farmi accompagnare a percorrere a piedi il chilometro di buio fino al casello (ma quasi sicuramente indotti a tale atteggiamento dai miei genitori). Intanto, la televisione (cioè la grande voglia che avevo di imparare cose nuove) era diventata la mia irresistibile passione, per cui preferivo dormire sotto le scale dell’Ina-casa piuttosto che rinunciare ai miei programmi preferiti.

Per il resto, Kardàra era sempre di più la mia Kardàra e spesso mio fratello mi portava con sé in Pretura (dove nel suo ufficio imparavo a scrivere sempre meglio a macchina, cosa assai importante per tutto il resto della mia vita). Ma, confesso che al centro dei miei interessi era la televisione, da cui traevo il nutrimento essenziale cosicché, di fronte al cinema frequentato con i miei fratelli e alla televisione, la scuola e la stessa chiesa perdevano di interesse (almeno per me). Apprendevo di più e meglio con il cinema e con la televisione. Non che frequentassi la scuola con meno profitto, anzi mi dimostravo più informato e creativo … però cominciavo a sentire, inconsapevolmente, che i metodi scolastici cominciavano ad essere superati dalla realtà rappresentata da radio e TV che pur erano striminziti allora rispetto all’odierna infinita offerta multimediale. Intuivo di essere un “uomo nuovo” (specialmente rispetto ad altri miei coetanei) ma non ne ero pienamente consapevole. In più mi sentivo nuovo e “diverso” (e come tale venivo percepito) poiché, frequentando con mio fratello Vincenzo la Pretura ed il Mandamento, toccavo con mano (come ho detto e ripetuto in altri scritti) il dolore della gente alle prese con la “Giustizia” e, ovviamente, con tutti i problemi che portano davanti a giudici e avvocati, carabinieri e ufficiali giudiziari. Insomma, cominciavano ad andarmi stretti famiglia, scuola, chiesa e persino la mia irrinunciabile “Kardàra”!… Tale malessere, a quella tenera età (8-9-10 anni appena), mi dava la sensazione di essere “incompreso”. E sempre più interrogavo persone adulte o anziane perché mi aiutassero a capire meglio il mondo e a rispondere alle mie domande, scaturite in gran parte da ciò che mi proveniva soprattutto dall’esperienza quotidiana ma anche da radio e TV, due mezzi che mi hanno accompagnato proprio assai assai fino a quanto nel novembre 1970 non mi sono trasferito a Roma per frequentare quella Università degli Studi. A Roma raramente avevo la possibilità di vedere la TV o di ascoltare la radio, però andavo spesso al cinema e a teatro e in altri luoghi dove potevo allargare le mie conoscenze umane e culturali. Ho sempre pensato che era la stessa città a formarmi parallelamente all’Università, pure perché a Roma, se vuoi, puoi incontrare il mondo (anche se non hai la possibilità di andare in giro per il mondo). Soprattutto per questo ho scelto Roma (che avevo visitata, “incontrata” e “scoperta” otto anni prima assieme a mio fratello Vincenzo) e non una piccola Università di provincia. Ed ho avuto ragione!… Anche Roma ha un proprio utile ruolo nella vicenda del “paese in vendita”.

Verso la fine degli anni cinquanta, per un lungo periodo di tempo, tutte le domeniche dopo la messa, tra le ore 11 e le 12, la radio nazionale italiana trasmetteva in voce i saluti che numerosi emigrati italiani dall’estero mandavano ai familiari residenti in Italia. Seguivo uno per uno questi saluti vocali, sperando di ascoltare quello di mio fratello Giuseppe dall’Argentina … il mio mai conosciuto fratello maggiore!… Ma quella voce non arrivò mai e, assai deluso e triste, non accesi più la radio per seguire quel programma già di per se stesso particolarmente commovente.

Dico adesso questa mia passione dimostrata per i mass-media come radio e TV fin dal loro primo apparire a Badolato, perché poi nel biennio 1986-88 del “paese in vendita” sono stati proprio questi i principali mezzi di comunicazione di massa, assieme ai giornali (ancora non c’era internet), che hanno rappresentato il maggior veicolo di diffusione della vicenda e di migliore utilità per la visibilità e la “salvezza” del borgo antico. E’ sempre bene andare alla radice, alla fonte dei fenomeni, pure per questo scopo cerco di raccontare il più minuziosamente possibile fatti e situazioni inerenti che ci riportino poi a spiegare meglio perché quell’iniziativa è partita da me e non poteva partire (forse) da altri (almeno così come è stata concepita ed avviata).

Voglio qui bene precisare che, fin da bambino, non mi sono mai lasciato suggestionare, distrarre o stravolgere da alcuno e, quindi, nemmeno dai mass-media con cui venivo in contatto come radio, televisione, cinema, teatro, giornali (ecc.). E questo per un semplice fatto legato proprio a Kardàra. Fin da bambino, infatti, ho sempre misurato il mondo con le sofferenze e le difficoltà socio-economiche dei contadini, degli operai (edili, ferroviari, stradali, ecc.) e di tutta l’altra “Gente di Kardàra”. Questo metro di misura ha contribuito a salvare la mia mente ed il mio cuore, la mia dignità e, in una parola, la mia coscienza e la mia stessa vita. Se insisto a parlare della “Gente di Kardàra” (pure come prototipo delle persone e delle comunità vessate e martirizzate dai potenti storici, persistenti o di turno) è proprio perché mi sono sempre ovunque e comunque misurato con chi soffre, con chi è povero, derubato persino della dignità. La miseria e le povertà che ho visto a Kardàra e in tante altre parti della Calabria gridano ancora vendetta. Così come gridano vendetta le povertà e la miseria che ci sono in troppi luoghi del mondo, ancora adesso che la tecnologia offre la possibilità (con costi sostenibili) di sfamare tutti e tutti portare ad un livello minimo e accettabile di dignità umana e sociale. In ogni momento della mia vita, fin da bambino, ho sempre tenuto presente le bestemmie e le imprecazioni dei contadini e degli operai di Kardàra e specialmente una frase che mai abbandona la mia mente e il mio cuore ancora oggi “Kka a fammi parra cu l’angiali!” – Qui la fame parla con gli angeli! (tanto ce n’è). Una frase che poi ho sentito fosse in uso pure in altre parti della Calabria. E ancora oggi misuro tutto ciò che vedo con i bisogni e la dignità della gente. La vicenda di “Badolato paese in vendita” nasce proprio da questi valori e da queste rivendicazioni.

ANNO 1960

Questo è stato un anno importante per me. Lo fu soprattutto per l’Italia, che ha ospitato la 17ma Olimpiadi dal 25 agosto all’11 settembre, lo fu per Badolato Marina che, in occasione del passaggio della fiaccola olimpica sulla strada jonica, inaugurò l’illuminazione pubblica proprio sulla nazionale jonica 106 sulla quale si affacciavano gran parte delle sue case.

Due i fatti per me assai importanti sono avvenuti nel corso del 1960, entrambi mi hanno visto stare qualche tempo lontano dalla mia famiglia, dalla “Gente di Kardàra” e dal mio paese, Badolato … entrambi i fatti mi hanno dimostrato che non potevo stare lontano dal mio ambiente!

Ai fini di questo mio racconto, mi tocca evidenziare il fatto che a mio padre venne l’idea di mandarmi, per tutto il mese di agosto 1960, alla colonia estiva dei ferrovieri di Gambarie d’Aspromonte, amenissima località turistica montana in provincia di Reggio Calabria (distante da Badolato Marina oltre 170 km). Da una parte tale idea mi eccitava (perché vedere cose nuove è sempre stata una delle mie più grandi passioni), dall’altra mi dispiaceva lasciare gli amici di Kardàra proprio nel mese più bello (anche se, in verità, ad agosto noi marinoti eravamo già sazi di mare perché solitamente iniziavamo a fare i primi bagni a marzo e finivamo a ottobre e a volte anche verso i primi di novembre). Comunque accettai, pur sapendo che avrei sentito assai la mancanza della famiglia, della Gente di Kardàra e, in particolare, degli amici e delle amiche con cui proprio ad agosto vendevamo pesche e fichi agli automobilisti di passaggio. Mi sarebbe mancata assai anche la festa della Madonna della Sanità che si svolgeva l’ultima domenica di agosto sul colle di Santo Isidoro, da dove è possibile ancora oggi ammirare, tra folti uliveti, un panorama mozzafiato sul Golfo di Squillace. Ci ero sempre andato fin da piccolissimo, con familiari e parenti ed amici, salendo a piedi per tre km le colline prospicienti Kardàra. Comunque la curiosità, alle fine, ha avuto la meglio e sono partito. L’esperienza della colonia è stata assai interessante e divertente, però sentivo tantissimo la mancanza del mio ambiente, del mio paese. Non si addicevano affatto a me, che ero abituato alla libertà di Kardàra, i ritmi cadenzati (tipo militare) e la disciplina di gruppo della colonia, per cui verso la metà di agosto mandai un messaggio alla mia famiglia di venirmi a prendere. Ma, ovviamente, non lo fecero e dovetti restare fino all’ultimo giorno, seppure a malincuore. Questa era la seconda volta che lasciavo Badolato e la nostalgia è stata quasi insopportabile. La prima volta, come ho già accennato, è stato per andare a Bologna a togliermi le tonsille ma, in tale occasione, non ebbi nostalgia né del mare né di altri … forse perché avevo vicino (24 ore su 24) mia sorella Rosa e le circostanze mi impedivano di pensare ad altro, febbricitante come sono stato numerosi giorni prima dell’intervento chirurgico.

La terza volta che ho lasciato Badolato è stato verso la fine di settembre 1960 per andare al Seminario Lombardo Francescano di Rivoltella del Garda (nel comune di Desenzano, in provincia di Brescia) a fare il “fratino” … cioè a tentare la via del sacerdozio. Mi ci aveva mandato padre Silvano Lanaro “parroco” di Badolato Marina, pensando che fosse vocazione la mia frequenza come chierichetto alle funzioni e il fatto che lo accompagnavo spesso quando andava per i paesi vicini a dire messa ed anche quando andava per tanti paesi della diocesi di Squillace a confessare le suore. Non era vocazione, ma la mia famiglia mi suggerì di tentare poiché poteva essere un segno del destino. Per generazioni e generazioni la mia famiglia Lanciano è sempre stata laica, nonostante ci sia stato un prete e due suore laiche a metà 19° secolo. Laica era pure, anche fin troppo, la famiglia di mia madre.

Personalmente accettai di andare per non far dispiacere già in partenza padre Silvano che era tempo prima rimasto assai deluso dopo l’invio al Seminario di Assisi di sei chierichetti di qualche anno più grandi di me. Erano tornati a casa tutti e sei dopo il primo anno di scuola. In quel Seminario di Rivoltella eravamo in circa 180 (il mio numero era il 166), tutti provenienti prevalentemente dai paesi delle province di Brescia e di Bergamo e, quindi, io ero l’unico non lombardo e per giunta meridionale. Il razzismo fu insistente e pieno di dispetti specialmente da parte dei bergamaschi (adesso capisco come mai la Lega Nord anti-meridionale abbia nelle provincia di Bergamo i suoi fondamentalisti). Ma non era questo razzismo che mi infastidiva o mi preoccupava, nonostante fossimo in un seminario cristiano-cattolico!… Combattevo tale razzismo cercando di essere bravo a scuola, nello sport ed in ogni altra manifestazione in cui esibire le proprie capacità. Facevo crepare di rabbia i razzisti perché ero tra i primi cinque della classe (sui 30 di questa quinta elementare) e per un mese fui nominato pure capo-classe (grazie anche al grande apertura mentale del maestro laico da libro “Cuore”, Remo Pampani cui ho dedicato le pagine 411-412 del terzo volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori”).

Ciò che mi preoccupava di più era la lontananza dalla mia famiglia, dalla mia “Gente di Kardàra” e da Badolato (inteso anche come mare, clima dolce e cibo migliore). Per la prima volta nella mia vita non riuscivo a trovare un senso vero alla mia presenza lontano da Badolato e per di più in un Seminario che, con gli anni, mi avrebbe formato sacerdote per andare magari missionario lontano persino dall’Italia. Dico “per la prima volta” poiché in sèguito tante altre volte non sono riuscito a trovare un senso alla mia vita lontano da Badolato (sempre inteso come famiglia, come “Gente di Kardàra” e come ambiente naturalistico). Così, durante la sua prima visita a Rivoltella tra Natale e Capodanno 1960, alla conclusione del primo trimestre scolastico, dissi a mio padre che volevo tornare a casa. Mio padre ha sempre rispettato la mia libertà. A quella mia richiesta mi propose di finire almeno quell’anno scolastico. Ma, il mio malessere aumentava e chiesi al Direttore del Seminario di scrivere a mio padre di venirmi a prendere, perché, altrimenti sarei scappato. Ne sarei stato capace (l’avevo fatto altre volte e lo avrei fatto ancora negli anni futuri quando una qualche situazione mi soffocava). Così, alla fine del secondo trimestre, tornai a Badolato per la Pasqua 1961 (2 aprile). Ripresi subito la mia scuola a Badolato Marina.

ANNO 1961

Rientrai nella stessa classe (che avevo lasciato andando in Seminario) per frequentare gli ultimi due mesi dell’anno scolastico che mi avrebbe dato la licenza elementare. In quell’anno 1961 ricorreva il primo centenario dell’Unità d’Italia. A Torino, dove era stata proclamata il 17 marzo 1861, avevano luogo specialmente d’estate tantissime manifestazioni, alcune delle quali furono visitate da mio padre che si era portata appresso mia sorella Concetta. Vedendomi intraprendete e capace, il Direttore Didattico (forse su consiglio della mia insegnante) mi diede l’incarico di realizzare un giornale commemorativo da esporre, come principale attrattiva, nella apposita Mostra in onore dell’Unità d’Italia. Mi misi subito a lavoro e mi scelsi alcuni elementi per formare la redazione che aveva pure un disegnatore nella persona del mio compagno di classe Vincenzo Piperissa (destinato ad essere il Sindaco del mio esilio nel 1988). I nostro giornale fu davvero il lavoro più ammirato di tutta la Mostra cui partecipavano anche le scuole di altri paesi appartenenti al circolo Didattico di Badolato Marina. Racconto questo episodio non soltanto per evidenziare Vincenzo Piperissa che ritengo primo responsabile, da Sindaco di Badolato, del mio immotivato “licenziamento” da bibliotecario nel maggio 1987 e poi del mio definitivo esilio da Badolato nell’ottobre 1988 … ma anche per dire che l’esperienza di quel giornale mi piacque tanto. Tanto che la pongo alla base della mia passione per il giornalismo che si sarebbe manifestata l’anno dopo, in prima media, come descriverò più avanti.

Ma l’estate 1961 mi riservava alcune sorprese memorabili e importanti per la mia crescita, per il mio passaggio dall’infanzia all’adolescenza. La prima riguarda la mia virilità, apprezzata da una ragazza di Badolato Superiore che d’estate, pur non essendo contadina, frequentava Kardara. Qui le do il nome di Venere per quanto era bella e sensuale, divina e misteriosa. Era più grande di me di 4 anni ed era particolarmente intraprendente con i ragazzi, ad alcuni dei quali chiedeva di farle vedere quanto era grande il loro pene (cosa che seppi dopo). Una volta che eravamo rimasti da soli e in costume da bagno sulla spiaggia di Kardàra verso l’imbrunire, lo chiese pure a me e, vedendolo, si diede in numerose esclamazioni di sorpresa. “Se ti piace possiamo fare l’amore!” le proposi, ma lei non accettò perché – diceva – voleva arrivare vergine al matrimonio anche se qualche volta si divertiva con ragazzi ed uomini ma senza compromettersi … ma era già compromessa per cattiva fama perché troppo chiacchierata, infatti ha dovuto sposare un inconsapevole ragazzo di un paese lontano per poi emigrare definitivamente in Lombardia. Forse avremmo fatto qualcosa se non fosse sopraggiunta una fila di barche di pescatori siciliani di passaggio verso la secca di Gallipari per la pesca serale. Venere si limitò a maneggiare la mia consistenza (portandola al massimo dell’estensione) e a massaggiare per un po’ complimentandosi che alla mia età ero già un uomo. A me bastò per comprendere, pur senza illusioni, che ero cresciuto e che non ero più un bambino. Quella ragazza (che a me piaceva anche per la sua disinvolta naturalezza senza ombra di peccato o di volgarità) mi fece il dono di “rivelarmi” e di “apprezzare” la mia virilità e le sue prime emozioni, cosa che non è di poco conto per un ragazzo di appena undici anni. Il caso ha voluto che, dopo molte estati badolatesi, ciò che non ho potuto fare con lei l’ho fatto con la figlia adolescente. Fui felice di ciò poiché, sebbene per interposta e piacevole persona, si è chiuso un cerchio di grande suggestione e significato. La figlia aveva la medesima sua bellezza e sensualità ed era innamorata di Badolato, paese della madre. Ci veniva ogni estate, facendo ogni volta strage di cuori! Proprio come la madre!

A darmi la conferma che potevo essere interessante sentimentalmente e sessualmente fu una ragazza (sempre più grande di me, di qualche anno). Somigliava molto alla “Afghan girl” conosciuta pure come “La Monna Lisa Afghana” (ovvero Sharbat Gula) fotografata da Steve McCurry nel 1984 per la copertina della rivista cartacea del National Geographic. E così la chiamerò adesso. “Monna Lisa di Kardàra” era una contadina semi-analfabeta ma di una intelligenza rara ed una capacità di vendere i panieri di pesche agli automobilisti che era davvero straordinaria. Era sempre spettinata ed era coperta di vesti rattoppate. La sua famiglia era assai povera. Ma era di una bellezza splendida e selvaggia, nascosta dalla trascuratezza imposta dall’essere accampata, spesso, anche per mesi sul suo terreno di Kardàra senza tornare a casa, su al Paese. Aveva occhi verde chiaro e lo sguardo penetrante ed eloquente, una voce ammaliatrice e suadente, specialmente quando raccontava le favole e gli aneddoti tradizionali in uso a Badolato. Facevo parte del suo gruppo di venditori di pesche agli automobilisti ed era la nostra “leader”. In quell’estate 1961 mi guardava continuamente e maliziosamente negli occhi e quando non passavano le macchine si sedeva in modo tale da farmi vedere le belle cosce e i peli del pube. Una volta che eravamo soli mi chiese di farle vedere il miei genitali. Oltre a farmi vedere bene i suoi di genitali, le chiedevo di farmi vedere i suoi piccoli seni. Giocavamo così, maliziosamente, per tantissimi giorni (quando era possibile, ovviamente).

Un pomeriggio mi invitò ad andare a mangiare con la sua famiglia, di sera, attorno al fuoco, sotto la “porga” (un grande albero di gelso) dove era il loro accampamento diurno. Ci andai. Durante la frugalissima cena si sedette di fronte a me e mi guardava intensamente. Finita la cena i suoi genitori, il fratello e la sorella andarono a dormire sulla spiaggia in un pagliaio e noi due restammo da soli accanto al fuoco. Iniziò lei. Tenere carezze e delicati baci umidi sulla guancia che restituivo con eguale dedizione. Intensissimi sguardi e sospiri come se volessimo fonderci. Niente di più. Ma per me era la prima volta che scambiavo effusioni con una ragazza. Durò un tempo indefinito ma per me di delizie eterne. Poi andò a raggiungere i suoi con la promessa che, all’indomani, saremmo andati a vendere le pesche in un posto isolato per poter stare meglio insieme. Fu così. L’idillio durò tutta la mattinata sul ciglio appartato della nazionale jonica, nascosta da due curve. Nessun automobilista, pur volendo, avrebbe potuto fermarsi in un tratto così pericoloso. E, infatti, nessuno chiese delle pesche pur vedendo i nostri panieri ricolmi a bordo strada. Monna Lisa di Kardàra probabilmente l’aveva fatto apposta a scegliere quel posto riservato. Avemmo tutta la mattinata per noi, senza alcuno che potesse disturbarci. Continuarono le carezze, i baci sul volto, gli abbracci. Poi fu il momento delle reciproche coccole, dei diffusi e delicati toccamenti.

Ma tutto finì, quando la sorella (più o meno della mia età) ci ha scoperti, mettendosi a gridare come una ossessa. Dopo due giorni Monna Lisa è tornata sul posto di lavoro con evidenti lividi sul volto, sulle braccia e le gambe, un po’ zoppicante. Il padre, il fratello, la madre e persino la sorella l’avevano riempita di botte … non tanto perché aveva passato la mattinata da sola con me ma soprattutto perché non aveva portato loro nemmeno una lira, non avendo venduto nemmeno un paniere di pesche! Per il resto dell’estate restammo in sintonia amorosa, ma non l’avrei rivista più perché era stata spedita dai suoi in Lombardia a lavorare, con tante altre contadine badolatesi e meridionali, negli orti padani, dove sicuramente, per quanto sfruttate, quelle donne avrebbero guadagnato di più che non restando al paese. Poi seppi che sotto i 30 anni era morta in Svizzera per un cancro, sposa e madre. Monna Lisa di Kardàra è stata per me una tappa assai importante e significativa nell’itinerario che l’Amore mi ha fatto fare. La tenerezza in persona, associata ad una delicata e divertita malizia!… Di fronte alla sua immatura morte mi conforta almeno il fatto che lei abbia vissuto un’intera estate di libere, volontarie, desiderate, delicate e deliziose emozioni d’amore e di amicizia con me (in tempi in cui le ragazze, anche quelle più produttive, erano assai segregate nella loro vita femminile). Personalmente, mi sento ancora un privilegiato per avere avuto la sua iniziativa, la sua superba e dolcissima bellezza, le sue attenzioni.

L’anno 1961, a settembre, mi ha riservato ancora un’altra sorpresa amorosa. Un’altra contadina di Kardàra. Chiamiamola Dolcissima. Aveva meno di 18 anni, era graziosissima e simpaticissima, un corpo esile ma ben fatto e un sorriso che faceva innamorare chiunque. Dopo un breve corteggiamento reciproco e alcune schermaglie amorose, mi invitò ad andare a casa sua in Paese. Sarebbe rimasta sola con la scusa di sentirsi poco bene. Ci andai. Mi accolse con un grande abbraccio e cercò subito, di lancio, la mia bocca. E la mia lingua. Per me quello era il primo vero bacio d’amore e di passione, in assoluto. Ne seguirono tanti altri, ma quel primo approccio ebbe un sapore ed un valore del tutto particolare. Passammo una mattina a conoscere il nostro corpo e a scambiarci le nostre emozioni. Speravo che avremmo fatto l’amore, ma lei mi ha detto “Oggi no, domani. Vieni domani e sarò tutta tua!”… Cercai di insistere, ma lei si limitò a dire “No, domani, alla stessa ora”. Non pensai ad altro per tutto il tempo, caricandomi ancora di più di desiderio e di fantasie. Fui puntuale. Irruenti entrambi, stracolmi di passione. Ci amammo. Per me era la prima volta, per lei sicuramente no, ma fu meraviglioso forse proprio per questo. Lei salutandomi mi promise che ci saremmo amati ancora. Poi commentò: “Hai visto che ho fatto bene a farti venire oggi, più desideroso di possedermi, più ardente nell’amarmi. Se l’avessimo fatto ieri non sarebbe stato così intenso e bello!”. Non potei non concordare, era vero. Verissimo!…

Non la rividi più. Era partita pure lei per gli orti della Lombardia come Monna Lisa di Kardàra. Ho pensato più volte che Dolcissima abbia voluto vivere quelle due mattinate d’amore con me, proprio in vista di questa sua dolorosa emigrazione verso le umide nebbie del nord Italia, per portarsi dietro (attraverso me) un palpitante ricordo della nostra Kardàra. Me ne convinsi ripensando al fatto che, tra tanto altro, insisteva a baciare con molta cura e con voracità (e delicatezza insieme) tutta la mia pelle che d’estate era calda e abbronzata, continuamente ricca di odorosa salsedine. Sì, penso proprio che volesse (attraverso me) amare per l’ultima volta il sapore del nostro mare, l’idea della nostra terra, gli anni vissuti a Kardàra. Quelle due mattinate d’amore erano la sua grande e particolare voglia di salutare, a modo suo, il suo mondo e la sua giovinezza che avrebbe lasciato per sempre per una nuova e ancora incerta vita.

In Lombardia, poi, trovò per marito uno di qui rudi uomini padani che andavano in cerca di una donna meridionale, possibilmente ancora vergine, e grande lavoratrice nei campi. La rividi a Badolato dopo poco più di trenta anni già nonna di un nipotino, con marito e figli al seguito. Era estate e lei era ancora tanto tanto bella, matura e sempre intrigante. Dopo qualche giorno fece in modo di incontrarmi. Mi chiese. Le dissi che non era il caso, perché volevo conservare il ricordo della prima volta senza sovrapporre altre immagini e altre emozioni le quali, seppure sicuramente belle, avrebbero potuto appannare la gioia, la felicità, l’incanto della mia prima volta. Mi strinse la mano destra e la baciò con la lingua umida e calda, baciando anche la sua come a voler dire che, comunque, eravamo uniti da un momento eterno. Andò via senza dire niente. Allontanandosi, solo un tenue ma duraturo sorriso con le labbra, gli occhi ed il cuore. Non l’ho rivista più. Ma lei abita in me perennemente come Erotica, come Venere, come Monna Lisa … tutte giovani donne che Kardàra mi ha donato con generosità ed affetto per aiutarmi a crescere e capire, mostrandomi la via amorosa che portava a Badolato Paese, ancora ricco di future donne speciali.

Infatti, oggi posso ben dire che soltanto Badolato Superiore mi ha gratificato ed esaltato con l’amore di donne davvero molto memorabili, mentre Badolato Marina mi ha dato soltanto amori tristi, sofferti e inconcludenti. Come non provare, perciò, riconoscenza e gratitudine al borgo antico, in particolare a tutti coloro che rendevano Kardàra lussureggiante con gli orti e i frutteti ma anche con il cuore amoroso e con tanti altri valori che illuminano ancora il mio cammino (iter). Come mai Badolato Paese mi ha dato soltanto amori felici e Badolato Marina soltanto amori tristi?… E’ solo un caso?…

E se ne scrivo adesso, dopo così tanti anni segreti, è per confermare che il mio innamoramento di Badolato passa dalla “Gente di Kardàra” che è stato il mio primo popolo, la mia prima comunità, il mio primo vero villaggio, il mio più autentico “paese”!… Ma passa soprattutto dalle sue donne che mi hanno amato durante e dopo Kardàra. Sappiamo tutti che un luogo diventa sacro e imprescindibile nel nostro amore, quando in questo luogo abbiamo vissuto momenti eterni, momenti fondamentali e indimenticabili, specialmente se legati ai sentimenti più esaltanti ed indelebili della nostra Wita. Ebbene, questi già descritti bastano da soli a giustificare la mia passione per Badolato e, di conseguenza, la vicenda del “paese in vendita” … ovvero l’accorato tentativo di salvare il più possibile il luogo più sacro della mia Wita, della mia famiglia, del mio popolo, dei miei primi e più fondamentali ed esaltanti amori personali, etici e sociali.

Giusto una curiosità. L’estate 1961 fu bella, significativa ed utile anche per un altro fatto. Sono riuscito a vendere, nonostante queste “distrazioni amorose” (o forse proprio per l’entusiasmo, l’energia e la vitalità che mi portavano), 36 mila lire di pesche, ad una media di 150 lire a paniere (da 3 kg) e, quindi, a 50 lire al kg quando all’ammasso, cioè allo scalo, i commercianti esportatori pagavano da 15 a 20 lire al kg., pure per questo le nostre famiglie ci affidavano il compito di vendere le pesche agli automobilisti che le pagavano di più. Con 36 mila lire ho acquistato tutti i libri, le penne, i quaderni e l’occorrente per poter frequentare la prima media a Catanzaro Lido. Sono stato assai felice ed orgoglioso di essere riuscito a fare ciò, a 11 anni, con il mio lavoro.

Con Erotica quando avevo quasi 6 anni e mezzo (nell’agosto 1956) e adesso, a 11 anni e mezzo (nell’estate 1961) con Venere, Monna Lisa e Dolcissima uscivo dall’infanzia e iniziavo la mia adolescenza, anche entrando nella Scuola Media Statale di Catanzaro Lido il che significava un simbolico “passaggio”, una crescita negli studi, avere a che fare con ragazzi di tanti altri paesi marini e collinari del versante jonico della provincia di Catanzaro lungo 60 km circa (da Badolato a Botricello e relative zone interne) e con situazioni del tutto nuove e più ampie. Considero gli anni della mia adolescenza dal 1962 al 1970 (anno in cui sono entrato al primo anno del corso di laurea in Filosofia all’Università degli Studi di Roma) un grande salto di qualità individuale, umano, sociale e soprattutto intellettuale diventando nei fatti ancora più universale di quanto non sia riuscito ad essere a Badolato, sempre tenendo “Kardàra” come unità di misura esistenziale e sociale. Nella prossima lettera cercherò di tracciare le tappe, anno dopo anno (1962-1970), di tutto ciò che ho vissuto non in generale ma avendo sempre Badolato come orientamento e finalità.

(continua)

LETTURE PARALLELE

Adesso, come lettura parallela, inserisco il testo che ho trovato nel seguente sito internet a proposito di “Badolato borgo incantato” … per come l’ho percepito io quanto (all’età di 4-5 anni) l’ho incontrato per averne memoria.

http://www.turismoincalabria.it/itinerario.asp?itinerario=badolato-borgo-incantato

Tale sito non permette di scaricare né testo scritto né le cinque belle foto che evidenzia. Perciò, ho trascritto integralmente il testo tale e quale si è presentato pochi giorni fa in video. Tale “reportage” è senza data (presumibilmente dovrebbe risalire all’estate 2015). Eccolo.

BADOLATO – BORGO INCANTATO

Badolato – Dalla Marina al Borgo Medievale – Le Case Diroccate, le chiese, i paesaggi che ne fanno un luogo magico, quasi incantato.

Badolato è un piccolo paesino sulla costa Jonica calabrese, in provincia di Catanzaro, vicino a Soverato, una delle mete di vacanza al mare più apprezzate sul versante Jonico Calabrese, con il bel mare e i locali per il divertimento.

Caratteristico è il piccolo centro di Badolato Superiore a circa 240 metri slm, adagiato su una collina delimitata nella valle dai due torrenti che lo fiancheggiano, mentre alle spalle si trovano le pre Serre Calabre. Percorrendo la strada che dal mare ci porta a Badolato Superiore, scorgiamo il borgo, e già da lontano possiamo ammirarne la sua bellezza, e siamo attratti dal fascino di un antico borgo medievale. Svettano i campanili delle antiche e numerose chiese, e a valle, rispetto al borgo nella sua immensa bellezza ci appare la Chiesa dell’Immacolata. Arrivati a Badolato lasciamo l’auto e cominciamo a gironzolare per il borgo a piedi, è inevitabile in antichi centri, dove salite e discese sono per lo più caratterizzate da vicoli stretti e tortuose scalinate che si inerpicano in spazi angusti, tra le mura delle case a ridosso tra loro, per arrivare in vari punti di affaccio che sono dei veri capolavori della natura per la bellezza dei paesaggi, la valle che cambia colore col cambiare delle stagioni e giù il mare, sempre un bel vedere che col suo blu è in grado di regalarci momenti di serenità e immensa gioia.

Badolato è un paese molto affascinante, le sue origini ne fanno un centro molto intricato e ricco di angoli di bellezza e di valore artistico e culturale, ma il fascino di Badolato è un fascino insolito, dato dal fatto che risulta in parte svuotato, molte sono infatti le case abbandonate, ormai in rovina, molte le antiche case in pietra che presentano aperture dovute all’incuria e all’abbandono. I residenti del luogo per ragioni di lavoro, o altro, hanno preferito avvicinarsi alla marina, dove è sorta la Marina di Badolato, altri hanno preferito cercar fortuna più lontano e hanno lasciato per sempre le loro case d’origine.

L’origine di Badolato è da ricercare intorno all’anno 1080, in quel periodo Roberto il Guiscardo fece erigere a Badolato un Castello fortificato, ormai inesistente, e intorno a quel periodo sono da attribuirsi i diversi insediamenti basiliani sparsi sul territorio. Partendo dalla Piazzetta del Borgo decidiamo di scendere verso valle, per raggiungere la chiesa dell’Immacolata che avevamo visto salendo. La discesa si fa ad ogni passo emozionante, passiamo per Corso Umberto, ci fermiamo a fotografare Palazzo Paparo, immenso e lasciato all’abbandono. Tra le abitazioni dei residenti molte le case disabitate, quelle chiuse, e altre in rovina, i tetti non ci sono più, e le case lasciate alle intemperie, sono la dimora dei piccioni, che quando improvvisamente si levano in volo ci lasciano stupiti per quanti sono a battere insieme le ali in cielo, a volte l’unico segno di vita del borgo. Ci ritroviamo al limitar delle case, seguendo le indicazioni cerchiamo la Chiesa di San Salvatore, lungo una strada coperta di pietre naturali lungo il percorso del crinale arriviamo a destinazione. Impeccabile opera architettonica.

Proseguiamo poi tra i vicoli, passiamo per altre chiesette, e infine scendiamo ancora più a valle, lungo conserva uno splendido portale in granito chiaro, realizzato da artisti di Serra San Bruno. Artisti napoletani hanno poi realizzato i pregevoli pezzi in argento conservati nella chiesa ovvero il calice, l’ostensorio e punta della mazza del priore. Da qui, dopo aver passato piacevoli momenti ad osservare la bellezza della chiesa, avvolta da paesaggi spettacolari ovunque si guardi, verso il mare o nella valle, dove si osservano gli antichi mulini, non ci resta che tornare indietro, risalire per altri vicoli il borgo, ognuno in grado di offrire angoli suggestivi, salendo, osserviamo di fronte al borgo un bellissimo edificio immerso nel verde, si tratta del Convento degli Angeli, convento Francescano di Santa Maria degli Angeli del 1603. (fine)

Caro Tito,

padre Gabriele M- Barzi con alcune giovani parrocchiane 1958 Badolato Marina

nella prossima lettera n. 5 proverò a descrivere ciò che ho vissuto dal 1962 al 1970 in Badolato e per Badolato. Preciso che le foto inserite a commento di questa lettera n. 4 sono state prese dal web (vedi indirizzo sotto-riportato, curato dal giovane e promettente dottore badolatese Guerino Nisticò) e sono inerenti al mio racconto. In particolare, ho voluto evidenziare le foto che Francesca Varano (che non conosco affatto) ha realizzato qualche settimana fa a Badolato borgo il 25 novembre (durante la Festa di Santa Caterina d’Alessandria) e l’8 dicembre (durante la processione della Madonna Immacolata).

Un grazie assai sentito e sincero agli Autori delle foto e del testo qui riportati. Valgono sempre il principio e la regola secondo cui, pur essendo ripresi dal web, le foto e il testo qui evidenziati possono essere rimosse su richiesta dei loro Autori, cui va il nostro più riconoscente ringraziamento.

Grazie ancora per l’attenzione e tantissimi Auguri a te e ai nostri Lettori per l’imminente Natale 2015 e per il nuovo Anno 2016. Cordialità, Domenico Lanciano


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