Passione adriatica: i fatti


 Nel 1797, e da secoli, appartenevano a Venezia l’Istria e la Dalmazia; ma Gorizia e Trieste erano legate all’Austria; e Ragusa era una repubblica indipendente italiana; e Fiume era ungherese. Napoleone, per avere Belgio e Milano, e il resto d’Italia, cedette a Vienna la stessa Venezia e la Dalmazia, tranne un momento in cui le Province Illiriche vennero annesse all’Impero Francese. Nel 1814-5, Venezia e Milano costituirono un nominale Regno Lombardo-Veneto, ma la Dalmazia di fatto fu amministrata come austriaca.

 La situazione reale di quei territori era che le città e i centri importanti erano di lingua e cultura italiane; i villaggi slavi, per secoli fedeli a Venezia, mostrarono una rapida evoluzione; e nelle stesse località italiane penetrarono elementi croati e sloveni.

 Nel 1859, il Regno di Sardegna ottenne Milano, ma non Venezia. Per questo scopo, nel 1866 l’ormai Regno d’Italia si alleò con la Prussia e mosse guerra all’Austria, mirando anche alla Dalmazia. Pur superiore per potenza militare, l’Italia subì sconfitte, e a stento ottenne il Veneto.

 L’anno seguente, i domini degli Asburgo rischiarono la guerra interna, risolta con due Stati – Impero d’Austria e Regno d’Ungheria – in unione personale; ma mentre Budapest teneva gli Slavi in condizione d’inferiorità, Vienna praticò una politica d’intesa; e, per quel che ci riguarda, favorì la penetrazione degli elementi slavi nelle antiche piccole città dalmate di cultura italiana.

 Nel 1918, l’Italia vittoriosa occupò, con il Trentino Alto Adige, Venezia Giulia, Trieste, Istria e Dalmazia; mentre rimaneva indefinita la questione di Fiume, occupata da d’Annunzio e dichiarata italiana. Giolitti trovò un espediente: cedere la Dalmazia alla Iugoslavia, tranne Zara; e facendo di Fiume una Città libera; finché non venne annessa all’Italia da Mussolini nel 1924.

 Il Regno di Iugoslavia versava in continue contese tra popoli diversi, e tra diverse linee politiche. Nel 1941 passò da un atteggiamento di amicizia a uno di ostilità verso Italia e Germania, che l’attaccarono e occuparono; l’Italia si annesse Lubiana e gran parte della Dalmazia; e allargò i confini dell’Albania italiana. Iniziò una feroce guerra di tutti contro tutti, con gli orrendi episodi che, mezzo secolo dopo, abbiamo visto quando, dal 1991, per la seconda volta si dissolse la Iugoslavia. Le truppe italiane, semplicemente, si comportarono come gli altri, e chi scrive non cade nel gioco di mentire per confutare menzogne altrui.

 Nel 1944, prevalsero i comunisti di Tito, che, organizzati militarmente e aiutati da URSS e Occidentali, sconfissero i Tedeschi e annientarono gli ustascia (fascisti croati) e i cetnici (monarchici serbi); e scatenarono la pulizia etnica contro gli Italiani. Moltissimi vennero uccisi, spesso gettati vivi nelle foibe carsiche. Avvennero molti casi più ignobili, come quello di Marta Cossetto, violentata e uccisa dai Titini. Caddero soldati, fascisti, o anche solo Italiani estranei alla guerra e alla politica.

 La sorte dei confini orientali dipese dagli interessi altrui. Tito, per quanto comunista, si staccò dall’influenza di Stalin, e gli Angloamericani, per sostenerlo, ne affermarono le pretese territoriali a spese dell’Italia. Nel Trattato di pace del 1947, l’Italia, presidente del consiglio De Gasperi, fu convocata, ma senza diritto di discutere; e subì l’imposizione di cedere, rispetto al 1941, Zara, Fiume, Istria, Venezia Giulia, Trieste.

 I profughi, circa seicentomila, subirono a loro volta cattivo trattamento nella stessa Italia, quasi fossero testimonianza di coscienza sporca dei nuovi politicanti. Altri onorarono la loro origine giuliano-dalmata, senza mai dimenticarla: gli sportivi Benvenuti e Pamich, lo stilista Missoni, gli artisti Luttazzi e Alida Valli, il giornalista Nutrizio…

 Questi sono i fatti. Oggi, 10 febbraio, una Giornata li ricorda, ma l’Italia ufficiale pare farlo in sordina, e senza coscienza del passato, e tanto meno dell’avvenire.

 Nel mio piccolo, stamani terrò, come componente della Commissione Cultura, una videoconferenza alla Media di Chiaravalle; e pomeriggio, un incontro al Comune di Chiaravalle.

 E gli altri?

 Intanto, salviamo seriamente la memoria storica, a cominciare dai nomi delle località: Pola, e non Pula; Fiume, e non Rijeka; Zara, e non Zadar; Ragusa, e non Dubrovnik… E conduciamo una politica intelligente verso Croazia e Slovenia. Quanto ai confini… essi, come quasi tutte le cose umane, furono nei secoli, sono e possono essere mutevoli.

Ulderico Nisticò