Risposta a Gregorio Calabretta e al “Prendetevela con me”


In relazione alla lettera che hai pubblicato, preferisco rispondere qui, per creare un dialogo costruttivo e “sociale”, possibile in quanto sei una persona profondamente stimabile, sperando di suscitare, in questo clima ostile, delle riflessioni pacate, da umili cittadini quali siamo. Ciò che dici è vero, viviamo in un periodo storico in cui è più facile accanirci l’uno contro l’altro, trovare un capro espiatorio nella gente che non sta nella sala dei bottoni. Come è anche vero che le rapine legalizzate fatte alla nostra sanità ci hanno portato ad affrontare questa (come altre) emergenza in una situazione ancora più degradata. Sta di fatto però che ci troviamo appunto difronte ad una emergenza sanitaria che ci sta portando a delle misure mai prese dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

Ci ritroviamo in una condizione tale che neanche con la sanità a pieno regime avremmo retto, se non con i provvedimenti sociali che si stanno attuando. Capisco le migliaia di giovani che in preda al panico hanno optato per la fuga verso casa, il posto sicuro, il luogo dove ci si sente bene. Non è questo il momento però di prendersela con la sala dei bottoni, ma è il momento di fotografare la realtà. Allo stato attuale le risorse che abbiamo sono queste e limitate.

Anche fossero infinite non ci sarebbe ragione di portare un’epidemia in un luogo solo tangenzialmente colpito (in una prima fase). Il governo ha dato delle misure che fino a poco tempo fa si rivolgevano al buon senso delle persone, proprio per consentire a chi, come hai giustamente detto, aveva delle difficoltà oggettive a rimanere al nord e consentirgli con tutte le misure del caso di rientrare in patria. E’ vero anche che ci sono migliaia di studenti e lavoratori che tornati in Calabria comunque continueranno a pagare affitto, mantenere casa, pagare le utenze.

Ci sono centinaia di persone che sono fuggite per paura, solitudine, ansia. Comprendo anche questo, perché siamo umani, e l’istinto talvolta prevale, però grazie al cielo abbiamo la ragione. Appellandoci a quei provvedimenti governativi sarebbe stato più opportuno attenersi, e forse oggi in questa terra avremmo un’incidenza minore. Ci sono delle vite in ballo che un ragazzo di vent’anni partito per l’università può comprendere, perché persona adulta in grado di poter gestire un momento di difficoltà in un periodo in cui un sacrificio è chiesto a tutti. Ad oggi la priorità è non diffondere un contagio per tutelare il maggior numero di persone possibili. Mettersi in viaggio oggi vuol dire esporsi ad un rischio, ed esporre a tale rischio i propri familiari che potrebbero non reggere il colpo perché questo male non sappiamo calcolarlo.

Come giustamente dici le misure della quarantena sono state predisposte proprio per quelle persone che necessariamente dovevano rientrare, ma tali provvedimenti sono stati stuprati da chi ha ragionato con la pancia, a discapito appunto di chi aveva necessità primaria di tornare a casa. La solitudine, la paura, la mancanza di casa in questo momento non sono bisogni primari difronte la salute, delle persone alle quali vogliamo bene, se vogliamo essere egoisti, e delle persone fragili in generale. Avremo tempo di recuperare questo distacco fisico che ci perseguita, questo tempo si riduce ogni qual volta facciamo un sacrificio in più, mettendo per un attimo da parte la pancia. In quanto ai beceri attacchi mi trovi d’accordo. Bisogna stare molto attenti a non cadere nella malignità, perché forse sia io che te avremmo reagito allo stesso modo, e probabilmente anche chi manda al rogo queste persone.

Non lo sappiamo. Invece certo è che chi è rimasto al proprio posto ha fatto del bene a se stesso e agli altri. Purtroppo dovremmo tutti moderare i toni, cercando di non accanirci con le persone, mettendoci nei panni degli altri, ma questo non giustifica che dobbiamo rispettare le indicazioni che ci sono state date, ed è bene per tutti avere pazienza, tanta pazienza, per poter tornare alla vita di tutti i giorni. Capisco benissimo la prospettiva di un genitore che soffre a saper un figlio lontano in un momento difficile. Anche quando pensiamo di non fare nulla di male, di non essere infetti, di attenerci alle norme, non dobbiamo dimenticare che l’indicazione primaria è rimanere dove siamo. L’ha stabilito un’equipe di persone che con le Pandemie ha più dimestichezza di noi. Ti offro la mia prospettiva da figlio, anche di questa terra, che gode di un’altissima età media, fonte di sapienza ma bacino di utenza preferito da quel virus che oggi ci attacca spietatamente.

Gabriele Francavilla

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